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142 il processo di pellegrino rossi

o in casa dello Sterbini, come, sulla fede del Ranucci, depose Sante Costantini nel suo ultimo esame, o nella vendita di Carbonari, esistente allora rigogliosa in Trastevere, alla quale aveva appartenuto lo Sterbini fino al 1831, prima del suo esilio, alla quale avevano appartenuto e appartenevano Ciceruacchio e il Dott. Pietro Guerrini in cui, secondo ogni probabilità, si erano raccolti e ristretti numerosi, dopo la enciclica del 29 Aprile, i più esaltati patriotti e repubblicani.

E io credo fermamente che là, in quella baracca, la sera del 13 convenissero i più autorevoli fra gli affigliati: certamente Angelo Brunetti, Pietro Guerrini, Leopoldo Spini, Carlo Luciano Bonaparte di Canino, Angelo Bezzi, il Dott. Sisto Vinciguerra, Pietro Quintili che, quantunque giovine, doveva essere investito del grado di Maestro; là probabilmente Luigi Salvati, Gerolamo Conti detto Girolometto, Michele Mannucci, l’Avvocato Nicola Carcani, Alessandro Todini e altri.

Lá, molto probabilmente e molto verosimilmente, si agitò la questione se si dovesse decretare l’anneramento nota dell’antico buon cugino Pellegrino Rossi, che era venuto meno ai suoi giuramenti ed erasi mutato in nemico della libertà e traditore della patria.

Là lo Spini e qualche altro avran messe innanzi, con calore ed energia, tutte le ragioni che dovevano sconsigliare da quell’eccesso: la inutilità di quell’omicidio contro un uomo a cui era così manifestamente e universalmente avversa la opinione pubblica, a cui mancava ogni forza per mandare ad effetto, se anche lo avesse voluto, un colpo di stato, dappoichè buona parte della Civica, tutti i Reduci di Vicenza, i Dragoni, i Finanzieri erano guadagnati alla causa democratica e gli stessi Carabinieri, e specie il loro Comandante Calderari, erano oscillanti a sostenere attentati contro le libere istituzioni; la evidente debolezza parlamentare del Rossi il quale, sotto gli assalti dello Sterbini, dell’Armellini, dello Sturbinetti, del Canino, del Mariani, del Torre, del Di 1

  1. Nel linguaggio simbolico dei Carbonari dicevasi annerimento la uccisione del traditore.