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gonze divinatrici e conchiudendo afferma che «perciò noi abbiamo rivendicata per l’Italia la gloria del Rossi, il quale non ha mai cessato di essere profondamente devoto alla patria che il cielo gli aveva dato, che fece sempre voti per la sua liberazione e che da lungo tempo aveva tracciato la politica che le permise di raggiungere il nobile fine de’ suoi sforzi»1.

Caldo ammiratore dello stesso libro si palesa anche un altro eminente pubblicista italiano il quale, dopo aver lodato pienamente il concetto fondamentale su cui il Rossi svolse tutte le sue teorie costituzionali, «riconoscendo nello stato una persona morale, una legge naturale dell’umanità, che deve trovare, nel suo ordinamento, i mezzi di assicurare all’uomo l’esercizio legittimo delle sue facoltà e di secondare in pari tempo lo svolgimento non soltanto dell’individuo, ma ben anche dell’umanità», dopo avere ugualmente piaudito ^calla coesione che il Rossi osservò esistere tra lo stato e la nazionalità», egli afferma che l’illustre Carrarese «divinò la dottrina dell’Humboldt, preparò quella del Mill e dell’Eòtròs e che egli diè la piena soluzione del problema sociale che consiste nel favorire lo sviluppo dell’individuo senza indebolire la legittima autorità dello stato»2.

In questo coro laudatorio - e, in verità, non adulatorio, perchè tutte quelle lezioni del Rossi, oggi, dopo sessant’anni, sono ancora belle, parecchie addirittura bellissime - stonano alcune voci autorevoli, le quali pure apprezzando le bellezze di questa o di quella parte del Corso di diritto costituzionale, trovano, nel suo complesso, deficiente e inorganico il libro e di molto inferiore ai due precedenti trattati dello stesso autore. E prima, in ordine di data e di autorità, si eleva la voce dell’illustre A. E. Cherbuliez il quale domanda e si domanda: «Si potrebbe ammettere che il Rossi, dopo avere rappresentato, prima in Italia, poi io Svizzera, una parte politica importantissima, non avesse

  1. C. Bon-Compagni, Introduction au Cours de droit constitutionnel par P. Rossi, Paris, librairie de Guillaumin et Cie 1866, tome 1er, pag. xliii e xliv. Il quale discorso del Bon-Compagni, sia detto con la reverenza dovuta all’illustre uomo, mi è parso diffuso in troppe digressioni e generalità e poco concreto per ciò che riguardava il libro del Rossi e del quale, mi sembra, si doveva trattare.
  2. A. Pierantoni, elogio cit.