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suo rapporto, era costretto a confessare «che non si può davvero disconoscere, senza abbandonarsi a vane illusioni, che l’idea della sovranità cantonale è, nel paese, l’idea dominante»1.

Dalla quale verità effettuale delle cose scaturiva un’altra indiscutibile verità, che l’ambiente e le coscienze non erano preparate alla riforma, la quale non era matura.

L’altra ragione si è che, appunto perchè la Commissione per la revisione e il Rossi suo relatore erano pienamente convinti di questa vera condizione di cose, essi si vollero maneggiare fra quelle opposte tendenze e contrari desiderii a contentare tutti e il Rossi specialmente volle applicare il suo eclettismo conciliatore e l’una e l’altro finirono per non contentare nessuno.

Inutili quindi sono le ipotesi, i se e i ma di parecchi fra gli scrittori citati2: il patto Rossi fu respinto, perchè in quelle condizioni delle coscienze e dell’ambiente, non poteva e — per

  1. Relazione di P. Rossi nei Mélanges, loco citato. Cfr. con J. Dubs, Il diritto pubblico della Confederazione svizzera, Torino, Unione tipografico-edit., 1888, pag. 595.
  2. De Broglie, Garnier, Reybaud e specialmente Henry d’Ideville, il quale, come accennai in altra nota, è il penultimo cronologicamente, fra coloro che scrissero su Pellegrino Rossi e, perciò, quegli a cui si offrivano maggiori materiali storici sull’importante argomento. Al che se si aggiunga che egli fu nel 1862 segretario di Ambasciata a Roma, onde potè avere a sua disposizione tutti i documenti riguardanti il conte Rossi, compreso il processo compilato contro gli uccisori di lui, facilmente si comprenderà tutto ciò che egli, se avesse saputo, avrebbe potuto fare e tutto ciò che gli studiosi erano in diritto di attendersi da lui. Ma sfortunatamente il visconte D’Ideville si preparò e si accinse all’opera con una leggerezza che non sembra vera. Non conobbe e non ricercò parecchi degli scrittori che lo avevano preceduto; spaventato dalla mole del processo non ebbe il coraggio e la pazienza neppure di sfogliarlo e si attenne, per ciò che riguarda l’uccisione del Rossi, unicamente al Sommario o Ristretto che ne compilò 11 giudice processante avv. Laurenti, il qual Sommario è tutto un tessuto di menzogne e non è il riassunto, ma, la falsificazione delle risultanze del processo stesso. Cosl il D’Idevilie, impreparato ed inetto, affastellò farraginosamente e incompletamente la materia, senza ordine cronologico, senza nesso logico, senza unità organica; accumulò errori sopra errori, fandonie sopra fandonie le più stupide che immaginar si possano e fece opera storicamente miserevolissima. E, per tutto ciò che riguarda il Rossi di fronte ai rivoluzionari romani, mentendo e alla dignità di storico e al siio carattere di gentiluomo, non scrisse una storia, ma ripetè i libelli ridicoli ed insensati dei suoi connazionali Balleydier, D’Harcourt, De Saint-Albin ecc., cose tutte che io dimostrerò in apposite note, alla luce dei documenti, in capitoli successivi. Giudizio simile, nella sostanza, a questo mio ha pronunciato sul libro del D’Idevilie il chiaro F. Bertolini, vol.cit. da pag. 55 a 57.