Pagina:Pellegrino Rossi e la rivoluzione romana I.pdf/47


capitolo primo 39

tratta (il Rossi) aveva apportato dell’ingegno in tutti i suoi atti, ma non aveva messo del cuore in alcuno»1.

Ma se in Pellegrino Rossi esistevano qualità e difetti di carattere che respingevano molti da lui, se la natura, l’educazione e un soverchio orgoglio lo avevano fatto manchevole di quelle doti con cui si attrae l’altrui benevolenza, se, per ciò, egli cominciò ad avere in Ginevra non pochi nemici, molti di più gliene procacciava l’invidia di vederlo salire in tanto credito e in tanta fama, e molti ancora gliene venivano addosso a cagione della sua amicizia con parecchi dei più illustri uomini della un po’ scuola, un po’ setta francese, detta dei dottrinari, verso le cui opinioni e teorie egli veniva dimostrando una sempre crescente simpatia.

Il Guizot, che può considerarsi come il gran pontefice o, almeno, come l’apostolo di quella scuola, esamina a lungo le origini e le ragioni di questo partito, piccolo di numero, autorevole per gli uomini che lo componevano e afferma, che fra gli eccessi a cui aveva condotto la rivoluzione e quelli a cui voleva condurre la reazione «i dottrinari, opponendo principi a principi, facendo appello non solo all’esperienza, ma alla ragione altresì, domandavano alla Francia non già di confessare che essa non aveva fatto che male, nè di dichiararsi impotente al bene, ma di uscire dal caos in cui ella si era gettata e di rialzare la testa verso il cielo per ritrovarvi la luce». E aggiunge, poco dopo, che «fu a questa mescolanza di elevatezza filosofica e di moderazione politica, a questo ragionevole rispetto dei diversi diritti e fatti, a queste dottrine al tempo stesso nuove e conservatrici, antirivoluzionarie senza essere regressive, e modeste, in

  1. A. de la Forge, op. cit., pag. 275. E qui non adduco altri giudizi di scrittori ed uomini politici assai autorevoli sulle qualità e sui difetti del carattere di Pellegrino Rossi, quali, ad esempio, quelli del Gioberti, del Gualterio, del Leopardi, del Farini, del Curci, del D’Haussonville, del Guizot e di parecchi altri a lui in tutto o in gran parte benevoli e favorevoli; nè quelli poco benevoli del Rosmini, del Berti, del Filopanti, del Gabussi, del Perrens, del Nisco e di altri; nè quelli quasi completamente avversi del Brofferio, del Cattaneo, del La Farina, del Mazzini, del Miraglia, del Saffi, e di parecchi altri, nè, in fine, quelli, ostilissimi contro il Rossi, di uomini pur degnissimi quali il generale Garibaldi, Giorgio Pallavicino-Trivulzio, il conte Ilarione Petitti, il generale Federico Torre, il padre Gioacchino Ventura e qualche altro. Di tutti questi giudizi darò contezza nel cap. V di questo volume.