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È agevole quindi comprendere quanta verità vi fosse nell’affermazione fatta da un suo ascoltatore ed ammiratore che, verso il 1830, «Pellegrino Rossi teneva a Ginevra il primo posto come oratore, giureconsulto, legislatore, uomo di Stato e nessuno sognava neppure di contendergli questa superiorità incontestata in un paese che non aveva giammai noverato altrettanti uomini superiori quanti ne aveva a quest’epoca»1.

Eppure quest’uomo insigne e grande era assai più stimato e ammirato che amato e «per la superiorità de’ suoi studi e del suo ingegno era obietto di una guerra sorda che gli si veniva facendo a Ginevra e che crebbe poi assai dopo il 1830»2 e alla quale partecipavano i conservatori e «una parte dei radicali»3.

E anche qui, a meglio intendere tutto il seguito della vita del Rossi e a comprendere bene le animadversioni e i sospetti e le repugnanze e le irreconciliabili animosità da cui - non

    logica, per venire a questa severissima chiusa: «Diceva bene il mio grande maestro Carmignani, emulo - come è noto - forse troppo severo dell’economista versiliese, quando avvertiva trovarsi negali scritti di Rossi tutto quanto era a desiderarsi di bello e di magnifico: tutto fuorché la logica». Il qual giudizio tanto più diveniva severo e quasi ingiusto in quanto che l’illustre Carrara si trovava nella sostanza della questione d’accordo col Rossi o solo lo combatteva perchè - come egli stesso diceva - «una tesi buona e vera era stata trattata con argomenti falsi». È vero però che il vivacissimo e insigne maestro chiude poi il volume con queste parole, che attestano della grande reverenza che egli professava per Pellegrino Rossi nell’esame complessivo dell’opera di lui; «Se pertanto quell’uomo illustre di Pellegrino Rossi, quando si mise a scranna in un corso di diritto penale, per insegnare cattedraticamente i precetti da seguirsi nella redazione dei codici, concluse col non concluder niente e con lo involversi in osservazioni perplesse e spesso contraddittorie ed erronee; non sarà vervogna per me se, dopo lunghe e severe meditazioni, non sono riuscito a costruire sull’argomento una teorica netta e completa».

       Fra tutti i critici e scrittori che io ho veduto, tanto fra gli Italiani quanto fra gli stranieri, noterò ancora qua e là severo, ma pur benevolo, Odillon-Barrot, in una relazione che lesse sul Trattato del Rossi all’Accademia di scienze morali e politiche (negli Atti dell’Accademia del 1856); ma fra tutti procedono più acerbi verso il Carrarese nei giudizi sul Trattato di diritto penale l’insigne F. Ferrara, nell’op. cit., e l’illustre G. Carmignani, Teoria delle leggi della sicurezza sociale, Pisa, fratelli Nistri, 1831, il quale assale, spesso con acrimonia e con voluttà, il Rossi, specialmente nel lib. I, pag. 13, 14, 73, 149, 168, 255 e lib. III, pag. 9, 15, 23, 27, 75, 78, 204, 254 e 260.

  1. H. Saladin, opusc. cit.
  2. A. E. Cherbuliez, art. cit. del 1849.
  3. H. Baudrillart, art. cit. Cfr. con De Mazade, De Puynoue, Renaudin citati.