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capitolo settimo 369

dove occorreva cogliere qualcuno di quei tre chirurgi, e magari tutti tre, nell’atto di insegnare ai congiurati, incaricati di uccidere il Conte Rossi, il colpo maestro sul cadavere; il formicolio dei trecento lavoranti e dei relativi caporali e assistenti, agitantisi, lassù, a Tor di Quinto, sotto la direzione di Ciceruacchio; lassù, fra quelle schiere di facinorosi, sotto la scorta di quel libero e dotto parlatore che era quel provvidenziale Alessandro Testa, così opportunamente scovato fuori dal Capitano Galanti, si dovevano ricercare le traccie della vasta cospirazione legionaria, ordita, in antecedenza all’uccisione del Rossi, al fienile di Ciceruacchio stesso fuori di porta del Popolo.

Con questi intendimenti, il giudice Cecchini, novello Giasone, si accingeva, all’entrare della quaresima del 1850, alla agognata scoperta del vello d’oro, non senza gettare, di tanto in tanto, un pensiero e uno sguardo a quel misterioso giovane smilzo e macilente della vigna Mattei, perchè gli sarebbe dispiaciuto assai che la sua penetrazione di inquisitore, la sua intuizione di investigatore dovessero ricevere una smentita e che quell’impenetrabile e irreperibile Giuseppe Montesi non ci avesse proprio da entrare per nulla nell’omicidio di Pellegrino Rossi!

Diavolo!... ingannarsi!... lui!