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capitolo settimo 341

E subito chiamò il Cecchini dinanzi a sè Adone di Giovanni Palmieri, di Bevagna, medico-chirurgo di anni 41, il quale, fatta una fiera invettiva contro il professor Baroni, in fondo rivoluzionario, in apparenza maschera, che sa procurarsi la protezione di tutti i partiti, narra di essersi recato alla Camera dei deputati il giorno 15, aver veduto con sospetto tutti quei reduci vicentini, essere salito nel loggiato del palazzo per entrare nell’aula, aver poi udito a raccontare che i vicentini misti con alcuni borghesi, all’arrivo del Rossi, avevan formato due ale, avean fischiato, lo avevan stretto ed ucciso.

— Ma l’uccisore, l’uccisore, che vi siete vantato di conoscere? — chiede ansioso il giudice processante.

— Ah!... quanto all’uccisore... è un altro paio di maniche.

Il Palmieri, un parolaio, un otre pieno di vento di vanità, dice che suo figlio Tito, cantante, gli riferì, due o tre giorni dopo il 15 novembre, che l’uccisore del Rossi era stato uno studente di chirurgia. Suo figlio Tito — continua a deporre il dottor Palmieri — disse di conoscerlo di vista, ma di ignorarne il nome: giovane, di statura piuttosto bassa, che indossava quasi sempre un soprabito bianco, grande amico di Pietro Sterbini, che la voce pubblica accusò istigatore e complice dell’omicidio, e che aveva una grande influenza sui legionari vicentini. Chi sa qualche cosa di preciso è un Buti Giulio, cantante, il quale, gli pare, disse a suo figlio l’uccisore del Rossi chiamarsi Silvani o Silvagni.

Appena il dottor Palmieri ebbe svesciato le sue inconcludenti chiacchiere di farmacia, il Cecchini esaminò Lodovico Buti di Francesco, di anni 26, romano, cantante, reduce di Vicenza, che il 15 novembre indossò la panuntella, andò alla Cancelleria, poi, per prudenza, se ne allontanò prima che giungesse il ministro Rossi: avendo saputo che l’uccisore era stato uno che vestiva la tunica vicentina, egli non volle più indossare quella divisa di obbrobrio. Non conferma le chiacchiere del Palmieri, non può aver pronunciato il nome dell’uccisore, perchè non lo ha mai saputo. Dice che la legione dei reduci, nel tempo in cui fu ucciso il Rossi, era sciolta e che «alcuni individui ad essa appartenenti erano passati sotto il comando di Luigi Grandoni, il quale - così gli fu riferito - aveva abbassato l’ordine ai