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e dal quale avrebbe appreso i nomi degli ufficiali civici sottoposti, in quel giorno 15 novembre, ai suoi ordini e, finalmente, i due sergenti della civica che si erano trovati presenti al suggellamento del pacco, contenente le carte trovate in tasca del Conte Pellegrino Rossi. Tutte queste indagini erano elementari e suggerite dalla più rudimentale conoscenza dell’ufficio affidato ad un giudice processante; e per eseguirle l’Angelilli non aveva bisogno del sussidio della polizia; eppure, o per l’una o per l’altra delle ragioni accennate, non le fece. E fece male.

E peggio fecero i vari ministri di grazia e giustizia e di polizia, succedutisi al potere dal 16 novembre 1848 al 2 luglio 1849, non occupandosi menomamente di quel processo e non sospingendo il giudice processante alla prosecuzione degli atti inquisitorii.

Si capisce, riportandosi, con obiettive considerazioni, alle condizioni veramente gravissime ed eccezionali di quel periodo rivoluzionario, come e perchè i capi di quel partito non volessero e non potessero, per necessità politiche, proseguire nella inquisizione per la uccisione di Pellegrino Rossi; ma si capisce altresì come, giustamente, di quella quiescenza e di quell’oblio traesse argomento il partito reazionario, vincitore e restaurato al potere, per accusare di connivenza e di complicità con gli uccisori del Conte Rossi gli uomini che avevano retto la cosa pubblica dal 16 novembre 1848 al 2 luglio 1849; perchè quello era un misfatto; e dei misfatti i governi giusti debbono, ad ogni costo, scoprire e punire gli autori. I ministri della repubblica ciò non fecero e, qualunque potesse essere la causa di tale indifferentismo, al cospetto della storia essi sono colpevoli e biasimevoli.

Fatto sta che il governo pontificio, appena ristabilito in autorità, nominò una Commissione direttrice delle procedure criminali per tutti i reati di maestà e di carattere politico commessi durante i sette mesi e mezzo in cui a Roma e nello stato aveva imperato il partito rivoluzionario. Al presidente di quella Commissione il ministro di grazia e giustizia, avvocato Giansanti, indirizzava la lettera che qui faccio seguire: