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capitolo sesto 309

tordici, dalla persecuzione papale rifuggitosi nella Repubblica di Calvino: vedevano in lui il cittadino di Ginevra professante dottrine elveziane, il filosofo eclettico mandato a Roma da Luigi Filippo a mettere su Gregorio XVI contro i Gesuiti francesi. Stendere la mano al Borbone di Napoli, perseguitare Garibaldi e il frate Gavazzi, scrivere nel diario del governo contro il Piemonte, questa era pretta reazione agli occhi dei liberali, che tenevano per politico proteiforme cotesto ribelle italiano e repubblicano svizzero divenuto francese, quando la monarchia Orleanese lo allettò con croci, pariato, ambasceria e contea, e di francese rifatto italiano, quando la Repubblica del 4 febbraio lo lasciava terra terra. Il Contemporaneo giornale di Sterbini, l’Epoca giornale di Mamiani, il Don Pirlone frizzante Charivari romano, fondato dall’arguto e giudizioso galantuomo Michelangelo Pinto, tutti questi echi della opinione liberale a Rossi diedero addosso.

«Apparteneva egli a quella generazione di statisti, che si dicono positivi e sono visionari, che si immaginano fare le rivoluzioni senza forza rivoluzionaria, conciliatori dell’irreconciliabile, padri di disarmate Minerve»1.

E, poco dopo, sulla morte del Rossi, melanconicamente aggiungeva:

«Contemporaneo di Washington e non di Bruto, io non glorifico codesti modi di spacciare il nemico politico, che la civiltà presente, quantunque ancora rugginosa di molta barbarie, non tollera più; e nemmeno mi lagno che a noi apostoli di progresso più che agli indietreggiatori chiedasi conto severo di ogni crimenlese di civiltà. Rossi, ancora più che ai democrati in odio ai preti per la guerra intrapresa alle pie mangerie, non poteva lungamente tenere lo stato; e sarebbe caduto, argomento di più della impotenza del Papato a reggere in qualsivoglia più mite temperie di libertà; ma anche vivendo cent’anni tartassatone della democrazia italiana, non poteva mai farle tanto male, quanto ne fece il suo morire di ferro; il quale evento della nostra immacolata rivoluzione, diede agognato pretesto di screditarla ai sepolcri imbiancati della reazione, agli assassinatori di

  1. G. Montanelli, Memorie cit., pag. 413 e 414.