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Erano le due e un quarto pomeridiane1.

Frattanto, giù, sulla piazza, la folla si era diradata, in parte stupefatta, in parte attonita, in piccola parte soddisfatta: e si può affermare, con fondamento di esser nel vero, che pochissimi furono coloro che dell’orrendo eccidio fossero commossi; per quanto questo fatto possa essere deplorevole, pure fu cosi. E se si rifletta a tutto ciò che era antecedentemente avvenuto, a tutto ciò di che io feci cenno, se si ripensi che quell’uomo, per il cumulo di circostanze indicate, era antipatico e impopolare, odiato fieramente dagli esaltati o esagerati che si voglia dire, secretamente, ma tenacemente odiato dai reazionari e papalini - come proverò in seguito - si comprenderà, senza grande sforzo, l’indifferenza della popolazione e della civica. Contro la quale furono lanciate allora, ma più che allora, dopo e fino ai giorni nostri, accuse di ogni maniera, non solo dagli scrittori della fazione papale - che cercano, quasi tutti, di nascondere, sotto il velame di ipocriti compianti, la gioia loro cagionata dall’uccisione del Rossi, onde essi avrebbero, fra breve, raccolto il frutto - ma anche, e più ferocemente, dagli storici di parte moderata. E siccome per lungo tempo hanno costoro menato il mestolo della politica in Italia, così hanno esercitato pure non piccola influenza a dare uno speciale e fazioso indirizzo alla storia di quel triennio, creando leggende partigiane, che, oggi, al lume di irrefragabili documenti, vanno distrutte, per riedificare sulle ruine di quelle la venerata immagine della verità storica. I moderati, colpevoli di aver spinto il Rossi ad assumere il potere in quella pericolosissima condizione di cose, colpevoli di averlo lasciato solo, con quattro o cinque mediocrissimi gregari, in quella difficilissima situazione, in cui io penso che sarebbero rimasti soccombenti anche i valorosi capitani, i moderati, che, con la morte del Rossi, videro annientata anche la più lieve speranza di fare argine all’irrompente e furiosa fiumana della democrazia, furono ingiusti, allora e dopo, imputando agli altri la loro stessa tepidezza, gli altri accusando della propria inettezza e pusillanimità.

Difatti, risulta dagli atti processuali, che il maggiore Villanova-Castellacci coi suoi ottocento civici erano stati posti sulla

  1. Vedi il processo verbale di questa seduta, che io allego fra i Documenti, al n. LIV.