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mezza; quando il Calderari ricevette il messaggio del Rufini era di sicuro passato il mezzodì; allorché il Calderari era giunto al palazzo Madama doveva essere la mezza e, quando egli tornò, tutto affannato, al palazzo Borromeo, per mettere sotto le armi i suoi carabinieri, era passata sicuramente l’una pomeridiana; cosicché quando egli stava per uscire dalla caserma, alla testa dei suoi soldati, ebbe l’annuncio che il ministro Rossi era stato ucciso; annuncio che immensamente lo turbò e che lui, già debole, titubante e perplesso, lasciò stordito ed inetto a qualunque azione1.

Il ministro Rossi, all’una pomeridiana, saliva nella sua carrozza, in compagnia del suo sostituto nel ministero delle finanze, cavalier Pietro Righetti, al quale disse che «se non aveva paura montasse pure». Qui il Righetti soggiunge: «Io montai e domandatogli qual cosa vi fosse da temere, mi rispose equivocamente e si vedeva che era molto preoccupato ed agitato»2.

La carrozza si avviò dal Quirinale alla Cancelleria.

Lá, sulla piazza, oltre il corpo di guardia fisso - perché vi era il quartiere del 6° battaglione civico, corpo di guardia che quel giorno era comandato dal capitano Ippolito Gauttieri e dal sottotenente Paolo Garinei - eravi schierato sotto le armi un battaglione civico, composto di un pelottone dato da ogni battaglione. Erano quindi circa ottocento uomini sotto il comando del Maggiore Antonio Villanuova-Castellacci e a disposizione della presidenza dell’Assemblea dei deputati. Inoltre, nella vicina piazza Farnese, stava sotto le armi un altro battaglione civico, il 7°, sotto gli ordini del Maggiore Marchese Campana3.

I questori della Camera avevano già richiesto al Maggiore Villanuova-Castellacci una diecina di militi, che erano stati messi di sentinella alle varie entrate ed uscite.


  1. Dall’esame degli atti processuali vedrà bene il lettore di per sè, man mano che io lo verrò facendo, chi fosse il Colonnello Calderari; un buon uomo, esitante, floscio e — perciò — militarmente parlando — debole ed inetto; una specie di don Abbondio dei carabinieri, che non voleva scontentare nessuno; dagli atti risulterà evidentissimo che egli non era un traditore, come lo vorrebbero fare apparire, mentendo alla verità, gli storici papalini e il giudice processante; egli adorava Pio IX, stimava e voleva servire Pellegrino Rossi, amava l’Italia e non voleva far fuoco sul popolo.
  2. Processo cit., deposizione del cavalier P. Righetti, foglio 137 a 143.
  3. Processo cit., deposizione Campana, foglio 5988 a 5991.