Pagina:Pellegrino Rossi e la rivoluzione romana I.pdf/274

266 pellegrino rossi e la rivoluzione romana

fermazione recisa del Conte Rossi, dico, si metta insieme con l’incredibile smarrimento di così importanti documenti, spontanea e necessaria ne scaturisce una conclusione che, in quelle carte segrete del Rossi, fossero racchiuse importanti rivelazioni ed accuse a carico del partito loiolesco: e di qui la ragione evidente della loro sparizione.

Ma di ciò più diffusamente nell’esame del processo al secondo volume; chè ora «la via lunga mi sospinge».

E, per tornare all’articolo pubblicato dal Rossi nella Gazzetta di Roma il 14 novembre, è chiaro che le ripetute affermazioni dell’affetto del ministero da lui presieduto per le franchigie costituzionali, era mossa abile, se non fosse stata guasta dai moniti minacciosi contenuti nella terza parte, nella quale pareva egli dicesse ai Consigli deliberanti che essi dovevano appoggiare la politica del governo ad ogni modo, che essi dovevano separarsi assolutamente dallo Sterbini e dal Canino — che erano coloro che avevano assistito al banchetto offerto a Garibaldi a Firenze e avevano levato brindisi per la prossima caduta del ministero Rossi, inter scyphos — e pareva minacciasse il Mamiani, l’Armellini, lo Sturbinetti, il Galletti, il Campello, il Torre e tutti gli altri deputati liberali che si apparecchiavano ad assalire il suo ministero, facendo, implicitamente, intender loro che, se non avevano giudizio, c’era in pronto il decreto di scioglimento del Consiglio dei deputati.

Certo, se queste non erano le intenzioni del Rossi, le sue parole si prestavano a questa interpretazione e così furono dalla grande maggioranza dei liberali romani, li per li, interpretate.

La sera del 14 novembre vi fu gran fermento nei Circoli romano, dei commercianti e, specialmente, al popolare, affollatissimi di gente tutti tre. In quest’ultimo, lo Sterbini, il dottor Pietro Guerrini, il dottor Sisto Vinciguerra, altamente declamavano contro il Rossi e dimostravano chiaramente anche perchè ne erano convinti, che il Rossi, battuto all’indomani alla Camera, avrebbe compito il suo piccolo colpo di stato.

Essi dicevano in molto retoriche parole ciò che quasi tutti i liberali, qua e là, o magari a sè stessi andavano dicendo: «Rossi ministro in Roma non aveva più che un assunto, domare la democrazia e disperdere o aggiornare almeno indefinitamente il