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che cosa, da parte dei - chiamiamoli così - cospiratori, era l’assessore di polizia Michele Accursi.

Il Rossi non era uomo da aver tanto facilmente le traveggole; onde a quella farsa dava l’importanza che meritava 1: pur tuttavia, poichè a lui parlò di quelle trame anche il Duca di Rignano che, nella sua qualità di Generale comandante della guardia civica, ne era stato informato da quell’onorando patriota che fu Angelo Tittoni, Tenente colonnello comandante il primo battaglione civico, dalle cui viscere uscivano, in buona parte, quei ridevoli congiurati, anche il Rossi credette, per un momento, e fu il 25 ottobre, che si potesse trattare di cosa seria.

Gli era stato riferito che il giorno innanzi Vincenzo Carbonelli avesse concionato un centinaio di quei rivoluzionari, con le più infuocate parole, eccitandoli ad una pronta azione ed indicendo una nuova riunione per l’indomani sera, 25 ottobre, fra il Foro Boario e il Colosseo. Il Volponi ed il Cecchetti corsero subito ad avvisare la polizia, il Rossi disse al Duca di Rignano di far vigilare le località indicate: il Duca incaricò dell’operazione lo stesso Tenente colonnello Angelo Tittoni, il quale si recò egli

  1. Ecco come narra, nella sua prima deposizione in processo, il colloquio da lui avuto col Conte Pellegrino Rossi, uno dei due ufficiali civici del primo battaglione che, dopo essere leggermente entrato, per ambizione, nella combriccola facciottina, ora andava a denunziarla... quantunque non ve ne fosse di bisogno, perchè conosciutissima in polizia: «Interrogato se abbia conosciuto il Conte Pellegrino Rossi, risponde che pur troppo l’ha conosciuto. Conosceva il Conte Melkerb, che era stato impiegato col Conte Rossi, quando era ambasciatore e, quindi, suo amicissimo, e il cavalier Campanella, amico lui pure del Conte Rossi, e per loro mezzo fece inteso il ministro di ciò che si tramava. Sui primi di ottobre il Conte Melkerb inviò lui testimone e il cavalier Campanella dal Conte Rossi, all’Albergo d’Inghilterra. Il Rossi era solo e si stava facendo la barba: appena entrati egli diede a lui una presa di tabacco. Esso gli raccontò quanto sapeva: il Rossi scrisse di proprio pugno i nomi dei fratelli Facciotti, del Majolini, del Galeotti, del Giovannelli, e gli disse di restare in relazione con coloro, di avvisarlo di quanto poteva avvenire; spendesse, sarebbe stato rimborsato: non prestasse giuramenti. Dietro le assicurazioni che il Rossi mi diede - continua il testimonio e rivelatore - e i favori che mi prometteva per la mia famiglia, continuai a trattare quella gente finchè non morì il Conte Rossi, al quale riferivo quanto venivo a conoscere. Un giorno anzi mi feci rilasciare dal Majolini la ricevuta di quattro scudi, domandatimi per la società, e la mostrai al Campanella e poi andammo insieme a consegnarla al Rossi. Seppi poi dal Melkerb, dopo la morte del Conte, che quella ricevuta, insieme ali’appunto dei nomi, precedentemente preso dal Rossi stesso nel primo abboccamento, erano passati nelle mani di monsignor Francesco Pentini, che era amico e stava sempre insieme col Conte Rossi». Dal Processo di lesa maestà già cit., foglio 3206 a 3223.