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capitolo quinto 251

aveva anche una certa istruzione, una istruzione incompleta, a modo suo, derivante dalla lettura disordinata di storie della rivoluzione francese del 1789 e delle guerre napoleoniche e di scritti del Mazzini, da lui capiti appena per metà1.

Ora, dopo l’Enciclica del 29 aprile, Bernardino Facciotti era divenuto addirittura feroce contro i Cardinali, i prelati, i gregoriani, e voleva arrestare tutti i primi e metterli nella impossibilità di nuocere alla causa nazionale, fare carneficina dei centurioni e dei sanfedisti e al Papa lasciare il solo dominio spirituale e proclamare la repubblica.

Mentre egli era con questo tumulto di idee sovversive nella testa conobbe Vincenzo Carbonelli, il quale, laureato in chirurgia, si era gettato, giovanissimo, nel turbine delle cospirazioni carbonare e mazziniane, a cominciare da quella dei fratelli Bandiera, e, ultimamente, nei rivolgimenti napoletani, come quegli che era ardimentoso e infervorato nei suoi principii, era stato a Napoli uno dei più infocati oratori ed agitatori del popolo2.

Il Carbonelli, pieno la testa di nobili, ma, forse, vaporose idealità e di pensieri bizzarri, predicò ai Facciotti quelle dottrine che altamente e ovunque coraggiosamente proclamava, tanto più ora che il tradimento di Ferdinando II, la diserzione di Pio IX, le sconfitte piemontesi, la soffocata ribellione calabrese più lo addoloravano e lo facevano fiducioso nella guerra di popolo e nella rivoluzione. I Facciotti conobbero anche il Bomba e il Majolini, i quali li aizzavano nei loro propositi, come faceva un equitatore, parimente napoletano, Ruggero Colonnello, condannato già per la stessa cospirazione politica del 1844 per cui erano stati condannati Giuseppe Galletti e Mattia Montecchi, poi, come questi, amnistiato da Pio IX.

Quantunque il giudice processante avvocato Laurenti, sulle rivelazioni, in gran parte false, assolutamente false — come nel secondo volume luminosamente dimostrerò — del turpissimo im-

  1. Io cho scrivo ho conosciuto Bernardino Facciotti a Firenze, durante l’emigrazione, nel 1867. Era un brav’uomo, per istinto e per effetto di quelle incomposte letture, giacobino, di corto intelletto, tenace nelle sue opinioni, con una faccia simpatica e da buono e, in fondo, di ottimo cuore.
  2. «Vollaro e Carbonelli erano le due leve potenti di qualunque dimostrazione di piazza» così G. La Cecilia, Memorie storico-politiche dal 1820 al 1876, già citate, vol. IV, pag. 167.