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temporale dei preti, diretti da un Cardinale con l’assoluzione di un Papa»1.

Non era dunque un rivoluzionario costui? Non era egli un nemico del Papato? Perchè assumere esso la direzione della cosa pubblica se non per seppellire quel poter temporale, del quale, secondo lui, già si erano celebrate le funebri esequie? D’altra parte egli era quel desso, Pellegrino Rossi, che aveva scritto: «se Roma riconosce e santifica il legittimo svolgimento dell’umanità, propugna i diritti della fede e della coscienza, allora l’opinione pubblica è con lei, che sa proporzionare l’istrumento mondano alle circostanze, ai tempi, ai bisogni e non si separa mai definitivamente dall’avvenire»; egli aveva scritto nel 1820 nel suo periodico ginevrino Annali di legislazione e di giurisprudenza in lode del papa Pio VII: «la religione e la buona politica, gli interessi spirituali e una saggia amministrazione civile, la custodia delle sue pecore e il bene del suo popola non sono dunque cose incompatibili. Si può dunque conformarsi ai lumi del proprio secolo e dare al regno di Cesare, alle cose di questo mondo il solido appoggio dell’opinione pubblica, senza attentare per ciò all’edificio religioso»2; egli era che aveva scritto che «non amerebbe vedere l’Italia perdere la sola grande cosa che le resti, il Papato».


  1. Lettera di P. Rossi al ministro Guizot in data 17 novembre 1847, nello Mémoires dello stesso Guizot, vol. VIII, pag. 392.
  2. P. Rossi, nell’articolo intitolato L’exécution des jugement prononcés par les tribunaux étrangers, inserito negli Annali suddetti nel 1820, articolo sul finir del quale lodava il governo pontificio che, per ordine di Pio VII, aveva pubblicato, in quello stesso anno, un decreto per cui una sentenza emessa nella protestante Ginevra da giudici protestanti contro un suddito della Santa Sede era resa, senza necessità di altre formalità, esecutoria nello stato pontificio.
       Ciò prova l’esattezza della mia affermazione sulle ragioni della diversità dei giudizi pronunciati dal Rossi intorno al Papato e al suo dominio temporale. Dinanzi a quella decisione civile e razionale, dovuta allo spirito illuminato di quell’illustre uomo di stato che era il Cardinale Ercole Consalvi, Pellegrino Rossi, impressionato favorevolmente, pensava che il Papato, anche come dominio temporale, fosse conciliabile con le libertà civili; più tardi, dinanzi alla ferrea e dissennata reazione di Leone XII, e sotto l’impressione in lui prodotta dagli atti di quel Pontefice, dettava il temperato memoriale ai Cardinali riuniti in conclave, da me prodotto nei documenti; più tardi ancora, dinanzi alla reazione gregoriana, scriveva, nel l832, la lettera al Guizot così ostile al dominio politico dei Papi; più tardi ancora, dinanzi ai primi atti di Pio IX, torna a sperare e a credere conciliabile libertà e Papato, poi a dubitare ancora, poi a credere ancora.