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legiati, l’altra l’eguaglianza dell’uomo davanti il diritto, davanti alla legge, davanti all’ugualità evangelica»1.

Egli, quindi, non soltanto aveva un’altissima opinione del cattolicesimo, non solo lo riteneva una istituzione potente, onoranda e benefica, ma, sebbene non lo dica espressamente, lascia intendere che la reputava migliore e preferibile alle chiese protestanti e che la considerava come il tronco principale del cristianesimo2.

Fissati questi criteri, a me pare che la contraddizione dei giudizi del Rossi intorno al Papato si abbia a ricercare in queste tre ragioni. Negli impulsi che all’animo suo venivano dall’ambiente e dalle impressioni del dato momento in cui egli parlava del Papato; nel considerare che egli faceva, secondo le circostanze in cui egli scriveva, il Papato più in relazione al suo carattere religioso che in riguardo alle quistioni politiche; e queste erano le volte nelle quali egli dava giudizi favorevoli a quella grande istituzione; o, finalmente, dal giudicarlo piuttosto sotto il punto di vista civile e politico, e queste, per lo più, erano le occasioni in cui se ne palesava avversario.

Ma qualunque si fossero le ragioni che determinarono le sentenze opposte del Rossi intorno al Papato, certo è che contraddizione in quelle sentenze esisteva e che esse si prestavano a duplice ed opposta interpretazione.

Il qual fatto è importantissimo nel momento fatale della sua vita a cui io, scrivendo queste pagine, e il lettore paziente scorrendole, siamo giunti; perchè quella duplicità di sentenze e quella opposta interpretazione produceva questa conseguenza funesta:

che i papalini, attaccandosi ai suoi giudizi contrari al Papato, lo reputavano rivoluzionario, e i rivoluzionari, fermandosi alle sentenze di lui favorevoli al Papato, lo stimavano papalino: onde egli si trovava, come gli angeli egoisti danteschi,

A Dio spiacente ed ai nimici sui;


il qual fatto doloroso è — lo ripeto — importantissimo.


  1. P. Rossi, Cours de droit constitutionnel, tom. I, lez. XII, pag. 170.
  2. E ciò si rivela chiaramente e in modo più speciale dalla lez. XLVIIl del Corso di diritto costituzionale, in cui parla della riforma religiosa e di Martino Lutero e di Giovanni Calvino.