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amici e donde usciva per visitarne altri pochi! Egli aveva deciso di richiamare a sè la moglie e i figliuoli e di vivere a Roma, ove il Papa lo teneva in gran conto, ove in grande stima lo tenevano tutti gli uomini più autorevoli del partito liberale moderato ed ove due motivi lo consigliavano a fermare la sua dimora, l’andamento delle cose italiane, alle quali, come antico patriota, ferventemente si appassionava e la profonda speranza, se non pure il convincimento, che il suo ingegno, il suo sapere, la sua esperienza sarebbero stati, o presto, o tardi, adoperati, con utile e onore suo, pel bene della patria.

Egli frequentava le case del Duca Mario Massimo di Rignano, della Contessa Teresa Spaur nata Giraud, del Cardinale Lodovico Altieri, del Conte Giuseppe Pasolini. E, di sovente, era a contatto coi ministri Recchi, Minghetti, Pasolini e Aldobrandini, con monsignor Giraud, con lo scultore cav. Pietro Tenerani, col Principe di Teano, col dottor Paolo Volpicelli, con monsignor Pontini, col Cavalier Righetti, col Massari, col Raggi e con pochi altri.

In quei giorni egli divenne frequentatore, anche più assiduo di prima, della libreria francese internazionale del Merle in via della Colonna, ove convenivano di solito i forestieri più colti e gli scienziati che dimoravano in Roma; ed ivi volentieri conversava intorno alle novelle e ai casi ognor più prodigiosi del tempo.

Veramente quell’entusiasmo romano, quelle legioni di volontari, formatesi sotto i suoi occhi in un baleno, lo stupirono da prima, poi lo commossero.

Quei fatti furono per lui la rivelazione completa di un vero che non conosceva che per metà. Tre mesi innanzi egli credeva bensì al desiderio degl’Italiani di sottrarsi al dominio straniero, credeva bensì che questo sentimento fosse generale, ma non pensava che esso andrebbe di là dalle manifestazioni clamorose e dalle retoriche declamazioni. In fatti, tre mesi innanzi a quei fatti del marzo, il Rossi, favellando con taluni dei più ardenti fra i provocatori dell’Austria a Roma, aveva espresso il convincimento che gl’Italiani volessero fare contro i Croati guerra a parole. Il D’Haussonville riferisce il discorso del Rossi cosi: «Ma, in fine» — diceva loro con la sua parola fredda e mordente — «a che volete venirne voi con queste incessanti provocazioni del-