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CAPITOLO IV.


Pellegrino Rossi privato a Roma,
in mezzo al turbine del rivolgimento italiano.


(Periodo italiano: febbraio settembre 1848).


L’Italia e Roma non si erano ancora riavute dallo stupore che avevano destato nelle popolazioni le notizie repentine degli avvenimenti di Francia; i sanfedisti, i gesuiti e gli austriacanti non erano ancora rinvenuti dal terrore suscitato in essi dalla novella dolorosa che sulle rive della Senna era stata proclamata la repubblica, Don Abbondio tremava ancora all’apparizione dell’Innominato, quando, il giorno appresso a quello in cui le notizie della rivoluzione di Parigi erano conosciute ed accertate, il giorno 6 marzo, il Consiglio comunale di Roma, non eletto per suffragio anche ristrettissimo, ma nominato da Pio IX, composto di uomini seriissimi, moderati, anzi conservatori e composto — è utile rammentarlo — di quindici principi romani, di quarantanove possidenti, di trenta scienziati, artisti, avvocati e professori e di sei monsignori e canonici, uomini tutti ammiratori devoti di Pio IX, deliberava, all’unanimità, un indirizzo al Papa con cui chiedeva «un governo a forma rappresentativa e perfettamente convenevole alla presente civiltà e durabile quanto non pur la vita, ma il nome e la gloria di Pio IX». L’indirizzo, pieno di lodi e riboccante di sentimenti di devozione e di gratudine, conchiudeva, invocando che per opera di Pio IX «le genti italiane si colleghino prontamente, a mantenere e propugnare la interna sicurezza e la nazionale dignità»1.


  1. Basterebbe questo indirizzo, votato spontaneamente e rapidamente da quel consesso, lo ripeto, moderatissimo, a smentire tutti gli studiati arzigogoli e le favole messe in giro dagli storici papalini - e a cui spesso,