Pagina:Pellegrino Rossi e la rivoluzione romana I.pdf/136

128 pellegrino rossi e la rivoluzione romana

linea di quell’editto, ecco ciò che le popolazioni italiche, nel parossismo della loro gioia per tanti anni contenuta, acclamavano ed applaudivano1.

Per gl’Irlandesi, pei Polacchi, per gli Ungheresi, per tutti gli oppressi d’Europa, pei liberali protestanti della Germania e dell’Austria, per tutti coloro che soggiacevano da trent’anni e gemevano sotto il giogo della Santa Alleanza, quell’uomo, quel Pontefice che, avvolto nella candida veste del perdono, irradiava una luce nuova da quella Roma, da cui quei popoli, da trecent’anni, non udivano voci d’amore e di conforto, quel Pontefice appariva come rinnovatore di un ciclo storico, come vessillifero della libertà a ciascun popolo; ciascuna gente vedeva in lui il proprio salvatore: il Papato riprendeva il suo antico splendore, la Chiesa riassumeva, per la voce e per l’opera di lui, la sua missione medioevale di civiltà e mostrava di voler riassurgere all’antica grandezza.

Tutti questi pensieri, tutti questi sentimenti erano confusamente, indistintamente, anche inavvertitamente, anche esageratamente, se si vuole, negli animi di tutti, grandi e piccoli, deboli e potenti, oppressi ed oppressori; tanto è vero che, mentre, al comparir dell’editto del 10 luglio, esultavano i popoli, sbigottivano e divenivan pensosi i despoti e i diplomatici della Santa Alleanza.

Quell’editto creava una situazione nuova, era il principio di un’èra nuova, non già nelle piccole intenzioni del banditore di esso, ma nelle condizioni morali degli uomini di quel tempo, ma per l’agitazione, per le aspettazioni, pei desiderii, per le speranze

  1. Che gl’Italiani applaudissero non tanto ciò che era espresso, quanto ciò che era sottinteso nell’editto di amnistia, dal più al meno, lo ammettono moltissimi degli storici dei rivolgimenti italiani di quel triennio, come, ad esempio, il Gioberti, il Gualterio, il Farini, il La Farina, il Montanelli, il Ranalli, il Gabussi, il De Doni, l’Anelli, il Bersezio, il Perrens, il Gervinus, il Garnier-Pagés, il Castelar, il Flathe e altri cinquanta almeno: lo negano una serqua di apologisti e libellisti papalini come lo Spada, il Croce, il Balan, il Balleydier, il D’Arlincourt, il Lubienscky, il De Saint-Albin, ecc. Ma la cosa era tanto vera, e tanto naturale al tempo stesso, che il Rossi notava, il 18 luglio, al Guizot, dopo avergli descritta la imponente e commovente manifestazione popolare della sera precedente: «L’amnistia non è tutto, ma è un gran passo. Io spero che il nuovo solco sia aperto e che il Santo Padre saprà continuarlo, non ostante gli ostacoli che non si mancherà di opporgli»; M. O. D’Haussonville, Histoire de la politique extérieure du Gouvernement français, già citata, tom. II, pag. 202.