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ma salgono dal basso all’alto» — ed io riaffermerò qui che ciò era, a quei tempi, verissimo — convinto che «le influenze subalterne e potentissime erano, allora, di tre specie, clero, curia e uomini di affari, nei quali si comprendono gli uomini di finanza e certi contabili, razza particolare a Roma e che esercita tanto maggiore influenza quanto più essa sola conosce e fa gli affari di tutti; convinto che quando una verità giunge ad essere affermata nelle sacristie, negli studi legali e nelle computisterie, nulla e nessuno potranno resisterle»1, Pellegrino Rossi, si diè a tutt’uomo a rialzare il prestigio dell’ambasciata di Francia, per la malattia e per la conseguente inerzia del suo predecessore venuta in discredito, svegliò l’assonnato personale e ne eccitò lo zelo e ne diresse il lavoro ed egli stesso attivamente adoperandosi, da mane a sera, penetrando fra gli uomini più eminenti del clero e del foro ed anche in qualche computisteria, senza parlar mai direttamente ed officialmente della sua speciale missione contro i gesuiti, ma parlando, invece, della civiltà, della potenza della Francia, del suo ottimo governo, del suo ottimo Re, dell’amore onde essi erano animati verso la vera religione, del bene che essi le avevano fatto, di quello che le volevano e le potevano ancora fare, della necessità di non confondere il gesuitismo col cattolicismo e gli interessi di una Congregazione religiosa con quelli del Papato e della Santa Sede, ebbe, in quattro o cinque mesi, creato quella specie di opinione pubblica che, dalle sacristie, dagli studi forensi, dalle computisterie, saliva in alto, presso i prelati, presso i Cardinali, presso lo stesso Pontefice.

Il Re Luigi Filippo non disapprovava l’apparente inazione del suo rappresentante a Roma, ma «si stupiva e si inquietava un poco di quell’attitudine incerta del Rossi, quando tutti sapevano che egli era andato a Roma con una missione speciale e quale missione!2. Il Re avrebbe desiderato da parte del Rossi un po’ più di energia, tanto più in quanto il Governo

  1. Lettera di P. Rossi al ministro Guizot, in data 27 aprile 1845; un piccolo capolavoro, in cui la profondità dell’osservazione è avvolta in elegante e finemente ironica disinvoltura di stile, riportata dal Guizot, Mémoires, ecc., vol. VII, cap. 43, pag. 399 e seg.
  2. Lettera del ministro Guizot a P. Rossi, in data 19 maggio 184.’». Vedi Mémoires del Guizot, loc. cit., pag. 412 e seg.