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in chiesa dava l’acqua alla mano d’Irene. Era sempre intorno vestito di scuro, non portava piú gli stivali, e provvedeva le medicine. Prima ancora di sposarsi stava già in casa dal mattino alla sera e girava per i beni.

Irene lo accettò per andarsene, per non vedere piú il Nido sulla collina, per non sentire la matrigna brontolare e far scene. Lo sposò in novembre, l’anno dopo che Silvia era morta, e non fecero una gran festa per via del lutto e che il sor Matteo non parlava quasi piú. Partirono per Torino, e la signora Elvira si sfogò con la Serafina, con l’Emilia — non avrebbe mai creduto che una che lei teneva come figlia fosse tanto ingrata. Al matrimonio la piú bella e vestita di seta era Santina — non aveva che sei anni ma sembrava lei la sposa.

Io andavo soldato quella primavera e non m’importava piú molto della Mora. Arturo tornò e cominciò a comandare. Vendette il pianoforte, vendette il cavallo e diverse giornate di prato. Irene, che aveva creduto di andare a vivere in una casa nuova, si rimise intorno al padre e gli faceva le flanelle. Arturo adesso era sempre fuori; riprese a giocare e andare a caccia e offrir cene agli amici. L’anno dopo. L’unica volta che venni in licenza da Genova, la dote — metà della Mora — era già liquidata, e Irene viveva a Nizza in una stanza dove Arturo la batteva.


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