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Nuto ha un modo di ridere fischiettando, anche se fa sul serio.

— Non hai fornito l’ospedale di Alessandria?

— Spero di no, — disse lui. — Per uno come te, quanti meschini.

Poi mi disse che, delle due, preferiva la musica. Mettersi in gruppo — a volte succedeva — le notti che rientravano tardi, e suonare, suonare, lui, la cornetta, e il mandolino, andando per lo stradone nel buio, lontano dalle case, lontano dalle donne e dai cani che rispondono da matti, suonare cosí. — Serenate non ne ho mai fatte, — diceva, — una ragazza, se è bella, non è la musica che cerca. Cerca la sua soddisfazione davanti alle amiche, cerca l’uomo. Non ho mai conosciuto una ragazza che capisse cos’è suonare...

Nuto s’accorse che ridevo e disse subito: — Te ne conto una. Avevo un musicante. Arboreto, che suonava il bombardino. Faceva tante serenate che di lui dicevamo: Quei due non si parlano mica, si suonano...

Questi discorsi li facevamo sullo stradone, o alla sua finestra bevendo un bicchiere, e sotto avevamo la piana del Belbo, le albere che segnavano quel filo d’acqua, e davanti la grossa collina di Gaminella, tutta vigne e macchie di rive. Da quanto tempo non bevevo di quel vino?

— Te l’ho già detto, — dissi a Nuto, — che il Cola vuol vendere?

— Soltanto la terra? — disse lui. — Stai attento che ti vende anche il letto.

— Di sacco o di piuma? — dissi tra i denti. — Sono vecchio.

— Tutte le piume diventano sacco, — disse Nuto. Poi mi fa: — Sei già andato a dare un’occhiata alla Mora?

Difatti. Non c’ero andato. Era a due passi dalla casa del Salto e non c’ero andato. Sapevo che il vecchio, le figlie, i ragazzi, i servitori, tutti erano dispersi, spariti, chi morto, chi lontano. Restava soltanto Nicoletto, quel nipote scemo che mi aveva gridato tante volte bastardo pestando i piedi, e metà della roba era venduta.

Dissi: — Un giorno ci andrò. Sono tornato.


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