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tanti, in attesa della padrona di casa, s’erano spogliati in mutandine e poi riseduti in poltrona, fumando e discorrendo. La padrona, stupita, s’era dovuta convincere che questo gioco era adesso di moda, una prova di spirito, e ci aveva scherzato a lungo con gli ospiti.
— Vede, Clelia, — mi disse Morelli, — Torino è una vecchia città. Dovunque, questa trovata l’avrebbero avuta ragazzi, studenti, prime nomine. Qui invece tocca a gente anziana, commendatori e colonnelli. È un’allegra città...
Sempre impassibile, si chinò mormorando: — La testa pelata laggiú è uno...
— Non mi prende per quella contessa? — gli dissi felice. — Sono anch’io di Torino.
— Oh lei non è di questo giro, lo sa bene.
Non era tutto un complimento. Me lo rividi nei suoi peli grigi. — Si è spogliato anche lei? — dissi.
— Cara Clelia, se vuol essere presentata in quel salotto...
— Che ci farebbe un’altra donna?
— Insegnerebbe alla padrona a fare lei lo spogliarello... Chi conosce a Torino?
— Ficcanaso... Gli unici fiori che ho avuto a Torino, sono venuti da Roma.
— L’aspettano a Roma?
Alzai le spalle. Quel furbo Morelli conosceva Maurizio. Sapeva pure che scherzavo volentieri ma le spese di spiaggia le pagavo da me.
— Sono libera, — dissi. — Non conosco che un obbligo, quello che mettono un figlio o una figlia. E per disgrazia non ho figli.
— Ma lei potrebbe esser mia figlia... O mi fa troppo vecchio?
— Son io troppo vecchia.
Finalmente s’aprí e sorrise, con quei grigi occhi vivi. Senza muovere la bocca, senza fare una smorfia, si riempi d’allegria e mi squadrò con gusto. Conoscevo anche questa. Non era tipo da attaccarsi a una bambina.
— Lei che sa tutto di quest’albergo, — dissi, — mi racconti dello scandalo di ieri. Conosce la ragazza?
Mi squadrò ancora e scosse il capo.
— Conosco il padre, — dichiarò, — un uomo duro. Volitivo.
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