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Questo riprese, dopo un poco, e pareva irritato. Non ci andai ma uscii dall’acqua. M’asciugai lentamente, seduta nell’accappatoio, e stavo spalmandomi una crema intorno alla bocca quando bussarono. — Chi è?

— Un biglietto per la signora.

— Ho detto che non ci sono.

— Il signore insiste.

Mi toccò alzarmi e girare la chiave. La veneta impertinente mi tese il biglietto. Lo scorsi e dissi alla ragazza;

— Non voglio vederlo. Ritorni domani.

— La signora non scende?

Mi sentivo la faccia impiastrata, non potevo nemmeno farle una smorfia. Dissi: — Non scendo. Voglio un tè. Digli domani a mezzogiorno.

Quando fui sola, staccai il telefono, ma subito dall’ufficio risposero. La voce raschiava sul tavolino, impotente come un pesce fuor d’acqua. Allora gridai qualcosa nel telefono, dovetti dire ch’ero io, che volevo dormire. Mi augurarono la buona notte.

Mezz’ora dopo, la cameriera non era ancora tornata. «Questo succede soltanto a Torino», pensai. Feci una cosa che non avevo mai fatto, come se fossi una ragazza sciocca. M’infilai la vestaglia e socchiusi la porta.

Nel corridoio discreto, varie persone, camerieri, signori, la mia impertinente, s’accalcavano davanti a una porta. Qualcuno, sottovoce, esclamava qualcosa.

Poi la porta si spalancò, e piano, con molti riguardi, due camici bianchi portarono fuori una barella. Tutti tacquero e fecero largo. Sulla barella era distesa una ragazza — viso gonfio e capelli in disordine — , vestita da sera di tulle celeste, senza scarpe. Benché avesse le palpebre e le labbra morte, s’indovinava una smorfia ch’era stata spiritosa. Guardai d’istinto sotto la barella, se gocciava sangue. Cercai le facce — erano le solite, chi sporgeva le labbra, chi pareva ghignasse. Colsi l’occhio della mia cameriera — stava correndo dietro la barella. Sulle voci sommesse del crocchio (c’era pure una signora in pelliccia e si torceva le mani) si levò quella di un dottore — uscí dalla porta asciugandosi le mani — , e dichiarò ch’era finito, si levassero dai piedi.

La barella sparí per le scale, sentii esclamare: — Fa’ piano — .


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