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DOCUMENTI PARLAMENTARI

Art. 22. La Corte ha dritto di chiedere ai Ministeri, alle amministrazioni ed ai contabili che ne dipendono le infor- mazioni e i documenti che si riferiscono alle riscossioni ed alle spese.

Art. 25. Nella relazione prescritta cogli articoli 33 e 37 della legge del 23 marzo 1853, e ricordata nell’articolo 12 di questa, la Corte dei conti debbe farsi carico:

4° Dei motivi per cui la sua vidimazione a mandati, od al- tre carte di contabilitá sia stata apposta con riserva;

2° Delle altre osservazioni che le sia occorso di fare in- torno al modo usato dalle varie amministrazioni nel confor- marsi alle disposizioni delle leggi e dei regolamenti in ma- teria economica ;

5° Delle variazioni che l’esperienza venga dimostrando conveniente di fare alle leggi ed ai regolamenti medesimi, per meglio accertare e rendere semplici e chiare le contabi- litá dello Stato.

Capo III. — Disposizioni finali e transitorie.

Art. 2A, L’ufficio del controllo generale delle finanze è abolito.

La vigilanza sopra le casse dei contabili e sui magazzini di materie spettanti allo Stato è concentrata nel Ministero delle finanze, dal quale in conseguenza dipenderanno i con- trollori che vi sono applicati.

Gli archivi del controllo generale saranno trasferiti presso la Corte dei conti.

Art. 25. La presente legge sará esecutoria a partire dal primo gennaio 1855.

Taottavia la Corte dei conti eserciterá le attribuzioni che le sono assegnate da questa legge anche riguardo alle contabi- litá non ultimate degli anni precedenti, ed ai conti che an- cora non fossero definitivamente approvati dalla Camera dei conti.

Hl regolamento prescritto coll’ articolo 10 segnerá le norme da seguirsi nell’applicazione di questa legge all’accer- tamento ed alla definizione di quelle contabilitá,

Disposizioni intorno ai marchi e segni distintivi in fatto d’industria e di commercio,

Progetto di legge presentato alla Camera il 5 maggio 1854 dal presidente del Consiglio reggente il Mini- stero delle finanze (Cavour). —

Sicnori! — L’articolo 406 del Codice penale prevede il delitto di contraffazione dei nomi, dei marchi ed altri segni distintivi apposti sopra mercanzie, animali, manifatture o sopra opere d’ingegno. Ma restringe il reato ai soli casi in cui il nome, marchio o segna contraffatto è usato con appro- vazione del Governo.

Quanto poi al modo di chiedere e di ottenere quest’appro-

vazione, nessun regolamento essendosi pubblicato, la facoltá di concederla non era mai 0 rarissimamente usata dal Go- verno, sicchè l’articolo testè citato rimase sinora quasi infie- ramente inapplicabile.

Oltracciò ii nome, il marchio, il segoo distintivo che fa co- noscere al pubblico da quale individuo o da quale stabili- mento proviene un prodotto è tanto naturalmente proprio di chi adopera, quanto è l’abilitá, l’illibatezza ed il credito di quell’individuo o di quello stabilimento che per esso è con- traddistinto dagli altri.

Siccome adunque il Governo non può nè concedere nè to- gliere ai privati il merito e la rinomanza indastriale o com- merciale, cosí non deve essere abbandonato al suo arbitrio il permettere o il vietare l’uso dei nomi, dei marchi a dei segni convenzionali di cui è parola.

Ma si è disputato molto per decidere se il Governo abbia il diritto d’imporre in qualche caso un marchio o segno indue striale obbligatorio.

In un sistema economico in cui il Governo si fa entrare dappertutto nell’industria, ora per assicurare ai produttori un discreto guadagno ed ora per guarentire ai consumatori la buona qualitá dei prodotti, il marchio può servire a que- st’ultimo scopo,

Questo sistema non è il nostro, ed all’infuori di pochissimi prodotti eccezionali, come le medicine, a cui provvedono leggi speciali e che escono dalla sfera delle leggi puramente industriali, la concorrenza dei produ’tori e l’interesse dei consumatori bastano al conseguimento dello scopo, quando vi si aggiunge l’uso dei marchi o segni liberamente prescelti dai fabbricanti o dai commercianti, e loro dalla legge gua- rentito.

In effetto, se egli è vero che ciascuno dei consumatorinon è intelligente cd esperto abbastanza per distinguere da sè la miglior qualitá dei diversi prodotti che compra, è però inne- gabile che un certo numero di consumatori può bene inten- dere e giudicare della bontá di questo o di quel prodotto in ispecie, e che ognuto infine è dall’esperienza fatto certo della qualitá delle cose che consuma. Ond’è che il giudizio degli intelligenti da un lato e Pesperienza di tutti dall’altro, ren- dono coll’andare del tempo notoria eccellenza del tale o tal altro oggetto manipolato o spacciato del tale o tal altro pro- duttore o negoziante. i! marchio o altro segno giovando in questo caso ad accertare il consumatore della origine indu- striale o commerciale dei prodotto, dará occasione di mag- giore spaccio e di maggiori lucri ai piú eminenti produttori o commercianti, e quindi, col pangolo dell’interesse, stimo- lerá gli altri ad emularli.

Fa pure creduto che talvelta certe cittá, certi distretti od anche intiere provincie salendo in grido per una specie di produzione, ivi divenuta eccellente sia per solerzia degli a- bitarti, sia per altre particolari condizioni locali, abbiano acquistata una rinomanza, per cosí dir, universitaria e col- lettiva, la quale è capitale e proprietá comune, che non può essere danneggiata dall’arbitrio privato nè di questo o di quell’altro produttore del luogo, nè di un produttore estra- neo. Si volle quindi che in questi casi il marchio della cittá ‘o del comune fosse obbligatorio per mantenere una specie di solidarietá tra i fabbricanti del luogo. Cosí un regola- mento dei Paesi Bassi del 1819 prescriveva che «le pipe, i panieri, le casse, ecc., oltre del marchio proprio di ciascuna fabbrica, avessero a portare l’impronta delle armi di cittá 0 del comune ove essa fabbrica esiste, con divieto di adoperare quella di un’altra cittá o di un altro comune.»

Veramente a noi sembra che, siccome non potrebbesi vie» tare ai fabbricanti di un luogo rinomato per una specie di produzione di variare a loro talento Je qualitá e le specie dei loro prodotti, cosí l’obbligo d’apporvi uo marchio comune e generico, oltre ad inconvenienti d’altra natura, avrebbe quello di conseguire un risultamento opposto allo scopo che si prefiggerebbe il legislatore che lo prescrivesse. Diffatti le specie infime dei prodotti o le varietá piú cattive d’una me- desima specie, comprese sotto un marchio uniforme, torne- rebbero a discredito dell’universale, grnndo che lasciato li- bero Puso del marcbio e richiedendo che questo sia indivi-