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sessione del 1853-54

tire il suo progetto in un concreto piano esecutivo; in base del quale agendo per sè e per altri avrebbe costituita una società per attuare la divisata condotta d’acqua: per il qual fine chiedeva gli fosse significato sotto quali condizioni, e con quali vincoli la condotta stessa gli sarebbe stata concessa.

Il Ministero dopo avere su questa demanda sentito l’ingegnere-capo della strada ferrata di Genova per mezzo dell’azienda generale, si rivalse all’intendente generale della divisione per avere qualche maggiore spiegazione dal signor Corte; dappoichè la sua domanda non andava corredata da alcuna indicazione d’arte, nè tampoco vi s’accennava come intendesse egli procedere all’impresa; nè si poteva quindi arguire se questa avesse probabilità di felice successo.

L’intendente generale della divisione dopo aver sentito il signor Corte dichiarava con nota del 22 ottobre 18B1, che se fosse stata accordata al petente la facoltà d’eseguire i lavori, si formerebbe sicuramente una società che speculerebbe vantaggiosamente sullo spaccio dell’acqua; e soggiungeva che l’opera, indipendentemente dall’eminente scopo di pubblica utilità, era giudicata molto proficua e tale che ove, per avventura, non si trovasse una compagnia che la assumesse, avrebbe convenuto al Governo di promuoverla ed attuarla egli stesso.

Poca luce però traendosi da queste informazioni sul merito intrinseco della domanda, il Ministero non aveva ancora nulla deliberato, quando il signor Corte non ricevendone alcun ulteriore riscontro, la rinnovò il 24 gennaio 1852, e ricordando la prima che egli aveva sottomesso sino dal principio di settembre 1851 alla civica amministrazione, e quella presentata dal Ministero in principio del successivo mese d’ottobre, esprimeva il timore che essa si divulgasse, ed il dolore che gli avrebbe recato il vedere altri cogliere il frutto dei suoi studi e delle sue spese. Altronde faceva presente che il suo concetto non avrebbe più potuto attuarsi quando i lavori della strada ferrata fossero venuti a compimento, e conchiudeva sollecitando nuovamente dal Ministero dei lavori pubblici qualche positivo riscontro.

Frattanto una Commissione era stata istituita dal Ministero medesimo che proponesse il miglior sistema di trazione da adottarsi sul piano inclinato dei Giovi.

E poichè fra i vari quesiti che essa doveva discutere eravi quello: «se alle macchine fisse animate dal vapore dapprima proposte non fosse miglior spediente sostituire macchine idrauliche animate dalla forza dell’acqua estratte appunto dalla Scrivia e condotta dentro alla galleria,» così il Ministero stimò conveniente trasmettere alla Commissione medesima la domanda del signor Corte raccomandandole di prenderla in quella considerazione che pur pareva meritare. Ed invero non potevasi disconoscere che, associando i due fini a cui si mirava coll’estrazione dell’acqua della Scrivia, l’animazione cioè delle macchine del piano inclinato dei Giovi e gli usi della città di Genova, ne sarebbe venuta una grande economia pella pubblica amministrazione.

Di questa disposizione del Ministero fu data parte al signor Corte dall’intendente generale di Genova, come consta da lettera 15 febbraio 1852 dell’intendente medesimo.Qui vuolsi però notare che nel novembre del 1851, cioè due mesi dopo che il signor Corte aveva inoltrata la sua prima domanda al municipio di Genova, si pubblicava in Genova stessa un opuscolo dell’ingegnere Novella, nel quale l’autore, dopo avere ripetuto anch’egli la grande opportunità di volgere l’acqua dalla Scrivia per la galleria dei Giovi nella valle del Riccò e della Polcevera per quindi condurla a Genova, andava discorrendo delle grandi difficoltà che incontravansi nel lavorare entro il cavo in cui dovevasi murare l’ultimo superiore tronco della ridetta galleria che costruivasi a cielo aperto; giudicava quasi impossibile che si riuscisse a tenerlo asciutto con meccanismi, non meno difficile ottenere ciò con un condotto fugatore, il quale condotto, credeva il signor Novella, che se pur fosse stato possibile attuare con un buon esito avrebbe importato l’ingente spesa d’oltre 500,000 lire; consigliava quindi a volgere invece le acque che frastornavano il lavoro pur entro la galleria, ed indi nel Riccò e nella Polcevera; poi accennava ad opere da eseguirsi attraverso il letto di Scrivia per raccogliere tutte le acque correnti di questo fiume, e quelle provenienti dal bacino della Seminella; e con tutte queste acque voleva alimentare la condotta verso Geneva; ne valutava a modo suo la quantitá, che nelle epoche di maggiori magrezze fissava in metri 2 50 per minuto secondo; mostrava tutti gli usi cui avrebbesi potuto soddisfare con questa notevole quantità d’acqua; ne calcolava il profitto, da lui fatto ascendere a 32 milioni di lire; e stimando a 12 milioni la spesa necessaria per attuare questa impresa, ne conchiudeva che essa avrebbe somministrato un utile netto di 20 milioni di lire.

Dalla pubblicazione di quest’opuscolo il Ministero non poteva trarre alcun lume, nè farsi alcun carico, non solo e non tanto perchè non gli venisse accompagnato da alcuna memoria, nè domanda, ma principalmente perchè era troppo vago ed inconcreto; non esprimeva in sostanza altro che la già propalata e conosciuta idea di condurre acque dall’uno all’altro versante degli Appennini; ed era per dippiú troppo viziato da non giuste supposizioni, e da evidentemente esagerate valutazioni sui risultamenti dell’impresa, perchè si potesse prenderlo per base d’una concessione, qualunque pure fosse il piano tecnico d’esecuzione che n’avesse in mente il suo autore; il quale piano non era in alcun modo chiarito, nè presumibile per la fatta pubblicazione.

Era infatti provato che quel canale fugatore che il signor Novella giudicava essere impossibile o dover costare più di mezzo milione non poteva importare più di 90,000 lire circa (nè più infatti costò); era provato che esso giovava, oltrechè ad assicurare l’esecuzione di altri lavori, anche a scaricare le acque che sorgevano nel cavo apertosi per la costruzione del tronco di galleria che si sprofondò sotto il letto di Scrivia; era provato che per un tratto solo di questo cavo poteva convenire volgere le sorgive attraverso la galleria; e che ciò non avrebbe durato se non finchè durasse il lavoro della galleria medesima, cioè finché non si ricolmasse il cavo dentro il quale veniva costrutta. Finalmente diligenti e ripetute misurazioni avevano dimostrato che era assai lungi che dalla Scrivia a Busalla si potessero avere 2 metri 80 d’acqua per minuto secondo, e che, quando pure ciò si avesse potuto fare, non conveniva, perchè nè le macchine idrauliche fisse che si fossero istituite sul piano inclinato dei Giovi, né i bisogni della città di Genova, esigevano che dalla Scrivia si traessero otto ruote d’acqua. E non si tralascierà qui di notare come il solo essersi diffusa l’opinione ne! pubblico che si divisava deviare dalla Scrivia tutta l’acqua in tempo di magre, e che si stimava poterne avere la suddetta grande quantità per condurla a Genova, avesse dato l’allarme nei paesi inferiori, i quali, qualunque pure siensi i titoli e le pretese loro, non si sarebbero certo così vivamente commossi quando avessero conosciuto la moderata quantità d’acqua che bastar poteva ad animare le macchino idrauliche, e che pure era bastante a più che raddoppiare quella che ora trae Genova dal suo antico acquedotto.

Comunque sia, in principio del gennaio dell’anno 1853 un