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si è adoperato il mez:0 piú semplice, piú regolare di far cor- reggere la giurisprudenza? Perchè il Ministero pubblico non si sarebbe prevalso dei mezzi di ricorso in cassazione, nel- l’interesse della legge, valendosi appunto del motivo previsto nell’ultimo alinea dell’articolo 606 dello stesso Codice di pro- cedura criminale?

L’autoritá poi desunta dall’esempio dell’imitazione fatta dai Codici belgico e siciliano non rassicurava la maggioranza, la quale osservava di piú che il Codice siciliano non si era con- tentato d’imitare l’articolo 201 del Codice francese; ma aveva tolto perfino la circostanza di pubblica adunanza che si con- tiene nell’articolo francese, ed aveva senza distinzione alcuna assoggettati a pena gli «ecelesiastici i quali per occasione del- l’esercizio delle funzioni del loro ministero faranno la cri- tica di una legge, ecc.;» disposizione questa che, come ognun vede, si estende assai piú in lá del testo francese, e colpisce le funzioni di culto anche non pubbliche.

La maggioranza pertanto deliberò di redigere l’articolo in modo che non si applicasse unicamente ai ministri dei culti, ma comprendesse ogni persona rivestita d’officio pubblico, od esercente in pubblico funzioni di qualunque genere esse sieno.

La maggioranza ugualmente convenne della necessitá di so- stituire alla parola censura la parola biasimo.

Saviamente giá fece il ministro proponente a non ripetere nel suo progetto la parola critica che si rinviene nell’articolo 201 del piú volte citato Codice penale francese, siccome quella che, anzichè riprovazione, indicava disamina, e quindi non poteva riputarsi offensiva delle istituzioni e delle leggi (f).

Ma la parola censura rimasta nel progetto parve ancora troppo elastica, e facile troppo a dar appiglio alla malevo- glienza anzichè alla severa e solida accusa.

Il ben discernere la significazione della parola è, come ognun sa, di grave momento in legislazione ed in giurisprue denza. La parola censura, presa nel senso d’origine, significa esercizio debito di correzione ed anche officio di Governo; censura armata, censura pubblica abbiamo nelle antiche leggi romane. La censura piú ritrae del desiderio di correg- gere che non di quello di screditare. Il biasimo all’incontro è quel giudizio che si fa di una cosa per farla prendere in mal conceito da altrui; e questo è appunto l’atto riprovevole che giustamente si vuol punire. La parola biasimo non la- scierá esitante l’animo del giudice, come probabilmente lo lascierebbe quella di censura.

Introdotte le modificazioni sovraespresse nella prima parte dell’articolo 2 del progetto, l’ufficio centrale non incontre- rebbe difficoltá di accettare cosí i due successivi alinea del- P’articolo stesso, come pure l’articolo 3, i quali non sono se non ie regole di una progressione di pena ragguagliata alla progressione del reato,

L’articolo IV ha per principale oggetto la materia degli exequatur relativi alla religione cattolica, attesa la maggiore

(1) L’espressione usata dal citato articolo del Codice penale francese, siccome troppo incerta ed estensiva, si modifica in Francia dalla giurisprudenza. Cosí nel riputato trattato del signor Chassan, Des délits et contraventions de la parole, de P’é- criture et de la presse, leggiamo a pagina 57 del primo volume: «Mais je dois dire dès è présent que les Ccarts reprochés aux «ecelésiastiques dans l’exercice méme de leur ministère doi- «vent ètre appréciés avec un certain esprit d’indulgence. Dans «le doute il faut présumer qu’ils ont agi dans une pensée de <«correction plutòt qu’avec l’intention de diffamer.» Ora, ri» ducendo il precetto della legge a piú stretti e precisi termini, meglio se ne procurerá l’osservanza.

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frequenza di quegli atti; ma si riferisce del pari alle auto» rizzazioni e dispense concernenti ad atti dipendenti dal culto valdese o dal culto israelitico, le quali autorizzazioni e di- spense, secondo le massime della patria legislazione, hanno tratto od a raunate straordinarie, o ad esecuzione di atti e- manati da ministri del culto, od a ricevuti soccorsi, od infine a dispense matrimoniali.

Ma la materia dapprima indicata, la piú rilevante e deli- cata, si è quella della dianzi citata regalia della Corona di- retta ad esaminare se le provvisioni pontificie sieno o no conformi agliindulti ed aí diritti e prerogative della Corona, degli Stati e dei sudditi (1); in altri termini, quella facoltá che ogni societá civilerettamente costituita ha d’impedire che altri non invada i suoi diritti, non attenti alle sue preroga- five, non iscomponga i suoi interessi,

Per mantenere illesi i diritti della Corona, dello Stato e dei sudditi, secondo le antiche ed inconcusse massime del nostro gius pubblico, si usavano centro ai contravventori i meszi della podestá politica ed economica (2).

Nè è a dire che sia cessato il diritto di adoperare siffatti mezzi, sempreché ciò si faccia nei limiti regolari quali sono segnati tanto dalla natura della regalia suddetta e dagli usi legittimamente stabiliti, quanto dalle relazioni di diritto pub- blico interno ed esterno.

Ma l’uso di cotesti mezzi non può risolversi certamente in procedimenti ed in pene arbitrarie contro i citfadini dello Stato che si fossero resi in tali cose contravventori, ai quali intatte debbono rimanere per loro le guarentigie costitu- zionali.

Però, siccome i provvedimenti compresi nell’articolo 4, soprattutto se hanno tratto a qualche oggetto d’importanza, è forza che si mettano in pubblica esecuzione ; cosí il Governo, quando non vi abbia dato il suo preventivo assenso, ha sem- pre i mezzi d’impedirne l’effetto, e quindi viene ad ottenersi direttamente Îo scopo che si propone Particolo. Sembra per- ciò all’ufficio centrale che non vi essendo pericolo di pertur- bazione grave e fuori dell’azione del Governo, sia piú con- forme alle regole d’equitá il ridurre la pena alla semplice ammenda.

Una assai maggiore renitenza ha incontrato presso il vostro uffizio centrale l’articolo 5 del progetto. A prima giunta que- sta disposizione svela, quasi direbbesi, una preoccupazione d’animo sul modo onde dai giudici si costituirá il criterio morale per decidere sull’imputabilitá dell’azione. Con esem- pio affatto insolito nelle moderne legislazioni, esso segna la traccia interna che dovrá segnire nell’intima sua coscienza quegli che dovrá in definitiva assumere la responsabilitá mo - rale del giudicato. Il Codice penale francese del 4810, da cui fu tratt: Ja parte piú importante di questo progetto, non ha per altro nulla di simile: esso definisce il reato, determina la pena, e lascia al giudice l’esame delle prove, il criterio

. dell’imputazione ela conseguente graduazione della pena.

Affatto fuori di luogo è paruta all’uffizio centrale l’espres- sione della regola di valutazione intrinseca della punibilitá, ed affatto sconvenevole il volersi frammettere in quell’ana- lisi di spinta e di resistenza che debb’essere lasciata all’im- parziale discernimento del giudice, che solo dai risultati del processo conosce la condizione speciale de’ singoli casi di reato.

(1) V. il regio biglietto indiritto dal Re Vittorio Amedeo Il al Senato di Piemonte il 13 giugno 1719.

(2) V. manifesto del Senato di Piemonte in data 20 giugno 1719, pubblicatosi indipendentemente dal suddetto regio bi- glietto 13 stesso mose.