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ciso carattere delle pene, e può produrre anche variazione nelle competenze. Siccome però non è infrequente il caso, € qui si verifica appunto, in cui l’avvedutezza del legislatore lo consiglia a largheggiare alquanto nella proporzione delle pene pecuniarie restringendosi in quella delle pene afflittive, cosí non aggiugneremo qui una proposta di modificazione a tale uopo in questa legge, ma ci limiteremo ad indicare la conve- nienza che, pigliandosi in revisione l’intiero corpo del Co- dice penale, non si dimentichi di costituire il sistema delle penalitá in guisa da evitare che si abbia a passare da un’ or- dine ad un altro di pene tanto alternative quanto accessorie, confondendone le specie.

L’articolo 9 ha tratto alle ingiurie di minòre pubblicitá od anche semplicemente verbali; e mentre il Codice penale al- articolo 650 statuiva che si potessero punire i delinquenti per tali reati, non solo con pene di polizia, ma anche col car- cere estensibile a tre mesi, il progetto attuale limita la pena afflittiva ai soli arresti, lasciando però che si aggravi la pena pecuniaria facendola passare al grado di multa estensibile a lire cento, se concorrono circostanze aggravanti di luogo, di

‘tempo o di persona. Nessun particolare motivo si avrebbe di ricusare questa modificazione.

L’articolo 10 non contiene altro che una facilitá di spartire le applicazioni delle pene, conceduta alla discrezione del giu- dice, Se si pon mente che non è tanto la gravezza della pena, quanto l’opportunitá della medesima, desunta dalla qualitá del reato, non meno che da quelia del delinquente, che prov- vede allo scopo della legge, si dovrá pur consentire alla pro- gettata disposizione.

L’articolo 11 tende a generalizzare la disposizione dell’ar- ticolo 29 della legge sulla stampa, col quale si stabilisce che, nei casi di offese contro i depositari o gli agenti dell’au- toritá pubblica per fatti relativi all’esercizio delle loro fun- zioni, Pautore della stampa incriminata, sará ammesso a som- ministrare la prova dei fatti da esso imputati. Questa prova libera l’accusato di offesa da ogni pena, salvo da quella per le ingiurie che non fossero necessariamente dipendenti dai fatti medesimi.

Hl Codice penale racchiude una serie di disposizioni dirette a tatelare i depositari e gli agenti dell’autoritá e della forza pubblica dagli oltraggi, quali si leggono agli articoli 224 e

| successivi del medesimo.

Ora qui non si tratta di modificare quelle pene, ma sol- tanto di ammettere l’autore dell’offesa a somministrare la prova dei fatti da esso imputati al depositario od agente del- l’autoritá pubblica, quali fatti costituiscono la materia del- l’offesa. Ma, secondo il disposto dell’articolo 621 dello stesso Codice penale, l’autore delle imputazioni od ingiurie non è ammesso a domandare per sua difesa che sia fatta la prova dei fatti imputati.

Siffatta disposizione fu congiunta colla legge sopra la stampa, la quale avvenuta dopo l’introduzione del reggi- mento costituzionale tra noi, doveva tener conto della re- sponsabilitá che contraggono i depositari ed agenti dell’auto- ritá pubblica di rendere ragione del loro operato, che debbe essere conforme alla legge.

Adesso col pregetto di che si ragiona, si applicherebbe disposizione uguale per il caso in cui le offese contro i depo- sitari o gli agenti dell’autoritá pubblica per fatti relativi al- l’esercizio delle loro funzioni, sieno state commesse con mezzi diversi da quelli di cui all’articolo 1 della legge mede- sima sopra la stampa.

Nulla del resto s’innova riguardo alle prove delle ingiurie contro ai privati, in quanto alle pene per le medesime.

La proposta del relativo articolo ne pare logica ed equa, e quindi non vi potrebbe essere difficoltá ad accettarla.

Percorsa cosí la serie degli articoli che ci è sembrato op- portuno di raccogliere nella prima parte del nostro esame, ora ci faremo a discorrere gli altri punti del progetto, i quali sono meno numerosi, ma che diedero luogo a ben piú seria discussione nel seno dell’uffizio centrale, e vorranno quindi essere trattati con ben maggiore larghezza d’esame è di con- troversia.

È d’uopo risalire all’alinea dell’articolo 1. Con esso si dichiara che le disposizioni degli articoli 164, 165 del Codice penale non sono applicabili agli atti spettanti all’esercizio pubblico dei culti tollerati. L’oggetto dei citati articoli del Codice penale, è di punire chiunque coa pubblici insegna - menti, con arringhe, o col mezzo di scritti, di libri o di stampe da esso pubblicati o spacciati, sttacchi direttamente od indirettamente la religione dello Stato con principii alla medesima contrari; ed ogni alfro fatto o detto non accompa- gnato dalle circostanze aggravanti indicate nel testo, che sia di natura da offendere la religione, o da eccitarne il di- sprezzo, ed arrechi scandalo, ovvero turbi od impedisca in qualsivoglia modo l’esercizio della religione.

Esaminando dappresso i due mentovati articoli del Codice penale, e rammentando quali norme ci governassero in ma- teria di culti tollerati al tempo in cui fu promulgato il Co- dice penale anzidetto, parrebbe forse inutile il concetto del- alinea di che si tratta.

Vediamo infatti che gli articoli 1 e 5 del Codice civile che stanno nel titolo preliminare, il quale, secondo che si esprime editto stesso di sanzione del Codice suddetto, non al solo Codice civile, ma a tutta la legislazione si riferisce, e che preesisteva al Codice penale, stabiliscono che la religione cattolica, apostolica, romana è la sola religione dello Stato, e che gli altri culti attualmente esistenti nello Stato sono semplicemente tollerati, secondo gli usi ed i regolamenti speciali che li riguardano.

L’articolo 1 dello Statuto stabilisce a sua volta che «la re- ligione catfolica, apostolica e romana, è la sola religione dello Stato. Gli altri calti ora esistenti sono tollerati confor- memente alle leggi.»

La disposizione pertanto del Codice civile e dello Statuto è identica in ciò che dichiara solennemente la sola religione dello Stato, ed ammette la coesistenza, in via di tolleranza, dei culti esistenti nello Stato, secendo gli usi ed i regola- menti speciali che li riguardano, a fenore del Codice; se- condo le leggi, a tenore dello Statuto.

Posto adunque che dal Codice civile che precedette il Co- dice penale, il quale è anteriore allo Statuto, è ammessa la coesistenza colla religione dello Stato di culti semplicemente tollerati, le disposizioni degli articoli 164 e 163 del Codice penale non potevano intendersi, e non si può credere che effettivamente siensi infese in senso da creare con esso un ostacolo all’esercizio dei culti tollerati; ora, chi dice eserci- zio di culti, dice liturgia, insegnamento e spiegazione dei principii delle religioni a cui quei culti si riferiscono.

Ma siccome le dottrine e l’insegnamento nei culti valdese ed israelitico, che sono i tollerati nello Stato, non pos- sono-a meno che essere contrari in varie parti alla religione dello Stato, cosí si dovette intendere implicitamente in detti articoli racchiusa la riserva che esenti da pena andassero quegli atti che, nei debiti limiti sono inerenti all’esercizio di quei culti, e vengono a contraddire ai principii della reli- gione dello Stato.

Non risulta che siensi mai prima della promulgazione dello