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scure valgano a rintuzzare i colpi contro la religione, piú che non giovi lo scudo della divinitá sotto la cui grande ombra maestosamente riposa ?

Non trepidarono cosí i primi padri della Chiesa, i gloriosi confessori della fede. Sant’Anastasio veséovo d’Alessandria, del iv secolo, lasciava scritto, che «non colla guerra e la spada, ma colla discussione e la persuasione le sante veritá si annunciano e si diffondono.»

Nè, se finalmente si rinunciasse a sostenere la religione con îe sanzioni penali, avremmo solo guadagnato nella rive- renza spontanea di cui l’altare e i suoi ministri si vedrebbero di nuovo circondati ; ma, ciò che è piú, avremmo per sempre tolto ai magistrati di giudicare, come improvvisati Minossi, delle peccata,

Le offese al dogma entrano nel dominio della teologia. Persistendo tuttora lo Stato ad ordinare giudizi sulle opinioni che per avventura contrarie alla fede si spargano, andiamo difilati all’assurdo d’una Corte di laici che siede e sentenzia, come giá i concilii, sopra la legge divina. E di leggieri sin- duce, quanto abbiano a credersi competenti in punto di teo- logia, e rispondenti a veritá di fede (indi non dimostrate, nè dimostrabili) le sentenze di persone la cui vita fu consacrata allo studio delle leggi civili.

Ora il primo articolo del progetto non soddisfa appieno i voti di coloro che, anteponendo le veritá eterne ad ogni con- siderazione di riguardi passeggieri, vogliono piantati i ter- mini irremovibili tra lo Stato e la Chiesa, e spastoiati i giu- dici temporali dalle controversie teologiche. Ciò non ostante è d’uopo di confessare che quest’articolo, imperfetto com’è, scema estremamente i rischi d’ogni cittadino, cui incolga di andare per penitenza davanti un tribunale di laici; i quali avranno deposto l’austeritá di magistrati criminali per assu- mere il volto meno severo di giudici correzionali.

"Nel quale profitto dei giudicabili lucra eziandio la economia della legge, che, combattendo le ingiurie alla religione cat- tolica, mette la pena di uno seritto o di un discorso in rag- guaglio alla pena di uno stampato; anzi lascia questa andare innanzi a quella di tanto, di quanto è supponibile a un bel circa che faccia maggior danno l’offesa pubblicata per Je stampe, che non l’altra spacciata in voce o in iscritto.

IV. Se non che ad affrontare que’ principii della religione dello Stato, che voglionsi rispettati da tutti, possono essere di necessitá tratti nelle loro arringhe i ministri dei culti dis- sidenti. E codeste discettazioni che la clerocrazia, giudiche- rebbe certamente un oltraggio punibile dalla legge, rimar- rebbero al cospetto delle rispettive congregazioni, alle quali dispensi la parola il proprio pastore, uno stretto ed indecli- nabile dovere.

L’alinea dell’articolo primo contiene una dichiarazione per

la quale i ministri delle religioni diverse dalla cattolica, tol-

lerate nel regno, potranno, neil’esercizio pubblico del loro culto, liberamente disputare su d’ogni materia che a reli- gione si attenga, senza cadere sotto alcuna sanzione penale, nè antica nè nuova.

Non doveva mancare un siffatto alinea all’articolo primo del presente progetto, se vogliamo schermire i ministri dei culti tollerati dalle conseguenze degli articoli 164 e 163, coi quali è proibito di attaccare direttamente o indirettamente i principii della religione dello Stato,

La predicazione è la capitale tra le funzioni di ogni rito. Il pergamo del pastore è il trono da cui governa, da cui tra- manda le leggi e i consigli che serbar debbono e ammeglio- rare il suo gregge.

L’alinea dunque che stabilisce «non applicabili le disposi»

zioni degli articoli 164 e 165 agli aiti spettanti all’esercizio dei culti tollerati» è un corollario legico della tolleranza consentita ad essi culti dall’articolo primo dello Statuto.

E qui parve alla vostra Commissione che dovesse risecarsi dall’alinea l’interiezione però. La quale, contro il fine mani- festo del legislatore, presta luogo ad una doppia intelligenza; e non diremo che generi naturalmente, ma almeno permette il dubbio, se togliendo gli atti di esercizio pubblico di quei culti dalla sanzione dell’articolo primo del progetto, non gli spinga sotto la sanzione degli articoli 164 e 163 del Codice. Dubbio importuno, quando è mente del legislatore che ogni libertá sia a tali atti accordata, e che, come leciti, restino e- sonerati da qualunque sanzione penale.

V. Gli articoli 2, 3 del progetto colpiscono i ministri dei culti che nell’esercizio del loro ministero mediante discorsi pronunciati, istruzioni o documenti letti in pubblica adu- nanza, od altrimenti pubblicati, censurassero le leggi ele in- stituzioni dello Stato, od altresí provocassero alla disobbe- dienza, alla sedizione o alla rivolta contro le leggi e institu- zioni medesime; e l’alinea dell’articolo 3 aggrava ia pena se alla provocazione sia susseguito l’effetto,

A disgombrare l’odiositá che cadrebbe su queste disposi- zioni dove mirassero a creare un privilegio in danno di una classe di cittadini, e tali sono i ministri dei culti, giova por mente che desse prendono di mira i sovraccenneti atti di quei sacerdoti soli che li commettono nell’esercizio delle sacre loro funzioni.

Costoro, in quante cittadini, non vanno soggetti (o par- lino, o scrivano, o pubblichino anche perle stampe quale siasi loro opinione, e sia tanto che immaginar possiate ostile al Governo e alla sua forma), non vanno soggetti a pene pecu- liari. La minaccia di queste pene non li persegue al di lá del limitare del tempio, o dsila religiosa assemblea.

Il prete o pastore, nel suo gabinetto e ne’ crocchi profani, è dalla legge lasciato alla pari con ogni altro cittadino. Ma quando l’abito sacerdotale, la cattedra-sacra, le mura della casa di Dio, l’apostolato con cui spezza il pane della divina parola alle turbe sotto di lui raccolte, o in chiesa o all’a- perto, cela il cittadino e mostra solo il levita; quando il le- vita, chiuso l’orecchio alla voce di Geova, che lo chiama alla celeste missione di consolare e di perdonare, accusa invece pubblicamente lo Stato, e semina egli stesso la zizzania nella civile famiglia; allora è che la legge, custode della pace e del decoro pubblico, lo punisce di un sepruso, il quale tanto non offeude la societá, che piú ancora non disformi e cancelli la dolce maestá confacentesi al pastore buono.

Tutte adunque le disposizioni dei precitati articoli, lette- ralmente e razionalmente, percuotono il prete nell’esercizio delle sue funzioni, e fuori di esse punto non lo risguardano. Se cosí non fosse, la vostra Commissione avrebbe reietta la progettata riforma come attentatoria alla uguaglianza di tutti i cittadini innanzi alla legge.

VI. E invece la riforma merita lode, dappoichè sopperisce un difetto del patrio Codice,

Niuno è che non sappia come il patrio Codice cammini sulle orme del Codice penale francese. E nondimeno nel pa- trio Codice non veggiam traccia degli articoli 201, 202, 203, 204, 203, 206, coi quali il legislatore francese ha sancite di. sposizioni analoghe nel concetto a quelle del presente disegno ministeriale.

D’onde ciò? Forse il Governo assoluto che emanava il no- stro Codice penale, aveva voluto abdicare la sua podestá, e chinarsi dinanzi a qualsiasi clericale disorbitanza ? Errerebbe di netto chi sel credesse.