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della proclamata tolleranza (articolo primo dello Statuto) una ragione propria di esistere guarentita dalla stessa legge fon- damentale ; ma simile guarentia tornerebbe vana se i regni- coli che professano un culto tollerato non potessero libera- mente, ed anche pubblicamente, esercitarne gli atti, e usare dei mezzi tulti appropriati ed all’uopo loro conducenti.

Invano lo Statuto avrebbe dichiarata la perfetta ugua- glianza di tutti i regnicoli dinanzi alla legge; invano sareb- besi solennemente statuito con legge speciale che la diffe- renza de’culti non faccia eccezione al godimento di tutti i di- ritti civili e politici, se i cittadini si trovassero pei angustiati ed impediti nell’effettivo godimento di una libertá talmente preziosa, siccome quella della coscienza, che è un diritto naturale all’uomo, ed insieme un bene essenzialmente poli- tico, il quale deve pur consistere in atti positivi ed esteriori.

Ma se una dicevole libertá dev’essere dalla legge assicurata all’esercizio dei culti tollerati, essa libertá vuol essere però in modo regolata che non ecceda e non trascorra ad un pro- selitismo intollerabile fra noi ove domina la religione cat- tolica. ;

E perciò la dichiarazione espressa nell’alinea dell’articolo primo, mentre serve per un lato a definire gli effetti della tolleranza garantita agli altri culti, vale dall’altro lato a desi- guare i giusti confini, che sono prescritti all’esereizio dei me- desimi, affinchè non prendano ad osteggiare direttamente e non tentino d’abbattere la religione dello Stato.

Rimangano adunque nel pieno loro vigore le sanzioni del Codice penale, modificate però nella misura della pena, in quanto mirano a difendere la religione dominante dello Stato da ogni offesa, da ogni attacco ; e tali sanzioni valgano ugual- mente a colpire il proselitismo de’culti tollerati; ma rimanga pure indubitato che l’attacco e l’offesa non ponno consistere nel semplice esercizio di un culto tollerato, il quale, per ciò solo che dissente dalla religione cattolica, di necessitá induce la manifestazione di principii alla medesima contrari.

E pertanto, finchè i regnicoli i quali professano culti tolle- rati, senza eccedere i giusti confini della legale tolleranza, altenderanno tranquillamente all’esercizio, anche pubblico, del loro culto, ed all’insegnamento tra i lore correligionari delle dottrine conformi alle loro credenze; e finchè non im- prenderanno a combattere con illecita propaganda la reli- gione dello Stato, ne attenderanno di spogliarla dell’autoritá e del rispetto che di ragione le spettano, non saranno di colpa imputabili.

Nel mentre però che si vuole garantire ai seguaci dei culti acatltolici il tranquillo esercizio dei medesimi, e liberarli dal timore di immeritate pene, purchè non vogliano dimenticare che i loro culti tollerati si trovano a lato di una religione dominante che è quella della immensa maggioritá degli abi- tatori del regno, il nesso naturale delle idee viene additando la necessitá di non lasciare impuniti, ossia senza una espressa penalitá, quei tali reati che i ministri di qualsivoglia culto possono commettere nell’esercizio delle loro funzioni ; i quali reati essendo di natura tutta speciale inducono pure la ne- cessitá di appropriati legislativi provvedimenti.

I ministri dei culti, come privati cittadini, ponno usare di tatta la libertá che altrui è concessa, e gli atti della loro vita privata vanno unicamente soggetti alle generali prescrizioni della legge comune; come ministri di un culto, purchè si contengano nella sfera delle cose religiose, senza mescolarvi quelle risguardanti gl’interessi mondani e passeggieri talvolta della civile societá, possono cen uguale libertá proclamare dalla cattedra, e propagare con gli scritti i loro insegna- menti.

Ma quando, abusando dell’autorevole posizione in che si trovano collocati a ragione de? loro ministero, cercano di ri- volgere la morale loro influenza a danno della civile societá, censurando le inslituzioni e le leggi dello Stato, e promo» vendo la disobbedienza e la rivolta; quando con fanaliche predicazioni e scritti sediziosi vanno agitando le menti, ed anzichè predicare la pace e benedire, trasportati dalla foga delle passioni politiche, tentano anche di travolgere il senno delle moltitudini, allora ragion vuole che i loro criminosi co- nati siano giustamente repressi.

Il legislatore adempiendo al proprio uffizio non può pas- sare sotto silenzio qualsivoglia specie di reati, e decernendo per essi leadequate pene deve avvisare ad antivenirli e repri- merli; perciò i buoni ministri della religione non potrebbero adontarsi delle sanzioni penali che ora si propongono per emendare, come si è detto, un evidente difetto del Codice penale.

l’articolo 2 del progetto accenna in primo luogo ai mi- nistri dei culti che pronuncino in pubblica adunanza un di- scorso contenente censure delle instituzioni e delle leggi dello Stato, e stabilisce contro di loro la pena del carcere da tre mesi a due anni, simile a quella decretata dall’articolo 204 del Codice penale francese.

In secondo luogo accennasi in esso articolo al caso in cui la censura sia fetta per mezzo di scritti, d’istruzioni, od altri documenti di qualsivoglia forma, letti in pubblica adunanza od altrimenti pubblicati, ed aumentasi la penalitá da sei mesi a tre anni per la ragione superiormente toccata che un di- scorso, pronunciato forse d’improvviso, può essere l’effetto di una momentanea concitazione d’animo, ma uno scritto è sempre meditato e sí ja persona che lo compone elo divulga, come l’altra che lo fa suo proprio, e ne dá lettara in pub- blica adunanza, sono ugualmente colpevoli di una pensata offesa alle leggi dello Stato.

In tutti i casi però che sono in questo articolo contemplati alla pena del carcere vuolsi aggiunta una multa estensibile a lire 2000, sia per rendere piú efficace la penale sanzione, sia per lasciare ai giudici la facoltá di comtemperare, secondo Ja qualitá delle circostanze, la durata della pena corporale con la pecuniaria.

L’articolo 3 procedendo per gradi contempla il caso di una maggiore reitá, quella cioè in cui il discorso o lo seritto con- tengano provocazione alla disobbedienza alle leggi dello Stato, e ad altri atti della pubblica autoritá; e la pena che si pro- pone è del carcere non minore di tre anni, e di una multa © non minore di lire 2000. Il quale aggravamento di pena cor- porale appare all’evidenza giustificato dall’essere per simile reato minacciati in modo diretto la pace pubblica e )’ordine sociale. Qualora poi alla provocazione succeda ia sedizione 0 la rivolta, l’autore della provocazione, poichè segui l’effetto che egli intendeva produrre, verrá considerato e punito come complice. E questa disposizione è consentanea alla regola generale che giá trovasi sanzionata dal Codice penale, lá dove la complicitá è definita (articolo 108).

Nell’articolo 4 si dispone che non varranno di scusa al col- pevole dei reati previsti nei due articoli precedenti, nè la stampa non incriminata del discorso e dello scritto, nè l’or- dine del superiore, sia questi nello Stato od all’estero; per- chè uno stampato può talvoltá passare inosservato, ed anche uno scritto mandato alle stampe in un dato luogo potrebbe ivi apparire innocuo, e tuttavia servire altrove di siromento a criminosi conati, L’ordine poi del superiore non potrá mai liberare dalla pena, non essendo meno colpevole chi agisce per altrui mandato.