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Deccm te:

fare eccezione per alcuna delle parti dello Stato; e quit le provincie dell’isola di Sardegna al pari delle altre debbano fruire di una tale istituzione.

Questa opinione, che precedette la presentazione del pro- getto di legge sulle assisie coi giurati, non ottenne l’ade- sione del Ministero, il quale ha forse voluto provocare sovra di tal punto il giudizio dell’opinione pubblica, e quello prin- cipalmente degli uffici della Camera.

Sei tra i sette uffici si pronunciarono contro l’eccezione, e dopo questo voto la Commissione non poteva che rafforzare Îl primo suo convincimento.

Dopo avere esteso a quell’isola la uniformitá di legisla- zione; dopo avervi messo in vigore i diversi tributi che si pagane nelle provincie di terraferma; dopo avere dato una vita politica anche agli abitanti dell’isola; dopo averti posto in azione il procedimento orale nelle materie penali, ad il giurí pei reati di stampa, non potrebbesi ritardare alla Sar- degna il beneficio del giurí pei crimini comuni e pei delitti politici, salvo che di tale eccezione fosse dimostrata un’as= soluta necessitá.

Adottato il sistema di scegliere i giurati fra le persone ca- paci di tale ufficio, non può credersi pericolosa per l’isola di Sardegna quella instituzione tanto benefica e razionale, che non è un irovato dei paesi maggiormente inciviliti, ma ebbe vita e vigore nelle prime etá delle nazioni, e quindi fu ap- pellata con ragione il ritorno al Codice della natura. Tutte, senza eccezione, le provincie dell’isola contano sicuramente buona copia di cittadini, che per coltura d’ingegno e bontá di cuore sono in grado di adempiere bene alle funzioni di giurato. Nè si ha da temere che manchino essi di coraggio civile per condannare, avvegnachè sono tutti interessati a reprimere i reati che compromettono la sicurezzz individuale e sociale, e d’altra parte giá dicemmo avere maggiore bi- sogno di coraggio civile chi fa testimonianza in pubblico contro un imputato, che dodici giurati i quali banno da emet- tere in segreto un sí od un no. Il legislatore che mandò in osservanza e mantiene tuttora in Sardegna il dibattimento orale, non deve intimorire i testimoni che obbliga a deporre al cospetto dell’accusato e del pubblico; e lo farebbe, se per tema di private vendette vi sospendesse l’attuazione del giurí mentre lo stabilisce nelle altre parti dello Stato. Prociamando legittimi i mori dei giurati, legittimerebbe senza volerlo i timori dei testimoni.

Se è vero, come è verissimo, che il giurí serve mirabil- mente a moralizzare ed educare le popolazioni, inspirando nei cittadini chiamati ad esercitarne le funzioni la reverenza del diritto, l’amore della giustizia, l’osservazione e lo studio del cuore umano, non può essere giusto nè conveniente pri- vare di questo grande beneficio gli abitanti della Sardegna, fosse pur vero, lo che non è, che la toro civiltá non corri- sponda a quella delle provincie di terraferma.

Tanto meno poteva assentire la Commissione a questa parte del progetto ministeriale, in quanto che, sospendendo nell’isola per un decennio l’instituzione del giuri pei crimini e pei reati politici, vi manterrebbe per tale tempo il sistema della legge del 26 marzo 1848 sulla composizione del giurí pei reati di stampa, e vi creerebbe le Corti d’assisie senza giu- rati composte di consiglieri d’appello e di giudici provinciali. La Commissione infatti, d’accerdo in questa parte cel Mini- stero, ha opinato che per tutti indistintamente i reati soggetti al giuil, sia preferibite la designazione dei giurati fatta col mezzo della scelta individuale, anzichè colla sorte; e questo giudizio, nell’opinione almeno della maggioranza, racchiude la critica del sistema sancito colla legge precitata. Oltre a

ciò, avendo l’editto del 17 marzo 1848 talia 115) task sato gli elettori politici della Sardegna dalla condizione di saper leggere e scrivere, i difetti di quel sistema diven’ano maggiori colá ove la cieca sorte può affidare il giudizio dei reati di stampa a chi non sa nemmeno leggere lo scritto in- criminato. E, se le assisie composte di consiglieri d’appello e di giudici provinciali furono giudicate pericolose dalla Commissione unanime, essa certamente non poteva appro- varne la instituzione, anche temporaria, nell’isola di Sar- degna. Arroge che il sindaco e i consiglieri delegati della cittá di Sassari hanno con calde e generose parole supplicato la Ca- mera (1) di non approvare ja proposta sospensione del giuri, rammentando che nell’isola non è del tutto nuova una fale instituzione, poichè in detta cittá a partire dal secolo xv sino all’anno 1838 esistette il magistrato della reale gover- nazione competente a giudicare dei crimini, in cui siedevano coi giudici legali alcuni consiglieri del municipio ed altri probi uomini; e questa congrega appellata Proomenato pro- nunziava sentenza sugli accusati sassaresi (2). Dissero che i voti in quella specie di giurí non erano dati a schede segrete, e ciò non pertanto, in tanto correre di fempi giammai era accaduto che aleuno fra i membri del Proomenato fosse insi- diato o minacciato nella persona 0 nella proprietá a cagione

(1) Petizione del 24 giugno 1854, inscritta al numero 5467 e presentata alla Camera da uno dei deputati della Sardegna.

(2) Del Proomenato è fatto cenno nell’articolo 2266 delle leggi per la Sardegna, raccolte nel 1827 per cura del Re Carlo Felice; ivi:

< Dalle sentenze del cosí dettc Proomenato della cittá di Sassari nelle cause dei cittadini nativi della medesima, si po- trá, nei casi dalla legge permessi, appellare od alla reale Go- ycrnazione, se il giudizio si sará trattato nella curia del regio Veghiere, od al regio Consiglio se in via ordinaria sará stato spedito nella reale Governazione.»

Del giurí stabilito in Sardegna sia nel civile che nel erimi- nale è fatto cenno nella storia dell’isola del barone Giuseppe Manno :

«Risiedeva la giurisdizione nel podestá (ivi è scritto), ma non mai gli era dato di giudicare da sè solo, poichè era neces- saria nei giudizi da lui profferiti l’approvazione di un mag- giore o minor numero dei cosí detti giurati, come maggiore o minore era la difficoltá del soggetto. Chiamavasi allora corona l’adunanza di questi giurati, ed il numero loro era quello che dava piú grande importanza alle decisioni, essendo solamente lecito l’appello quando il numero dei giurati era minore di 17; nel qual caso la corona, che dicevasi compiuta, esercitava i diritti di un tribunale supremo. Al qual uopo, perchè alla con- fidenza delle parti corrispondesse ancora la celeritá dei giu- dizi, era obbligo del podestá, di congregare, tre fiate per set- timana, le corone ordinarie ed una volta la corona compiuta. Le persone componenti la corona maggiore eleggevansi perio- dicamente da quattro probi cittadini prescelti eglino stessi a ciò fare dal podestá e dagli anziani. Ma non indistintamente era permesso di sottoporre al loro giudizio ogni sentenza, poi- chè quelle sole erano suscettive di nuova disamina che impor- tavano la definizione del piato.» (Libro VIII, pag. 80 e 81.)

«Questi giudici erano allora scelti fra ipiú notabili del luogo, che detti erano probi uomini. Onde, mentre si trova in questa legge (parlando del Codice di Eleonora) il benefizio dell’intervento di piú persone nei giudizi eziandio della prima instanza, vi si ravvisa, per quanto appartiene alle cose crimi- nali, una sembianza di quell’ordinamento dei giurati del quale si tiene cosí alto conto in alcune delle moderne legislazioni.» (Libro IX, pag. 222 e 223.) ,