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sopra, senzachè però il presidente possa delle circostanze at- tenuanti formulare una espressa questione, e senzachè il giurí debba farne cenno nella sua dichiarazione, qualora non le creda esistenti; tantochè la deliberazione, in tal parte, dei giurati riveste un dicevole carattere di spontaneitá quando le afferma, e fugge col silenzio deli’odiositá inutile che seco trae una espressa negazione.

, Rispetto alla votazione, si prese a considerare se i giurati, terminato il dibattimento, potessero insieme ristretti delibe- rare fra di loro, e se dovessero votare apertamente, o de- porre in segreto il voto nell’urna.

Del voto aperto si fece altrove esperimento, e fu abbando-

nato (1); ma il voto segreto non debbe impedire la delibera-

zione. È necessario che i giurati, terminato il dibattimento, abbiano agio a raccogliersi e discorrere tranquillamente col pensiero sulle ricevute impressioni ; è utile che richiamino alla memoria le cose udite, e si aiutino fra di loro a fermare il vero carattere delle circostanze. Da una pacata discussione sulle prove fornite dall’accusa e sui mezzi della difesa può elicere una scintilla di vero che rischiari ed illumini le loro coscienze. Deliberato però che abbiano insieme, è necessa- rio che il voto sia segretamente scritto e deposto, affinchè resti libero e sciolto da ogni influenza.

Nel Belgio (articoli 18 e 19 della legge 415 maggio 1838) si adottò il sistema che a ciascun giurato sia rimesso un bol- lettino stampato contenente la formula della dichiarazione, e di sotto alla medesima le parole stampate sí e no, affinchè il giurato vi cancelli la parola no se vuole affermativamente rispondere, o cancelli il sí quando la risposta vuol essere negativa. Ma una momentanea distrazione cagionata dalla stanchezza e dalla commozione dell’animo potrebbero per av- ventura produrre un fatale errore. Il giurato non andrá cer- tamente errato, se dovrá scrivere il sí od il no, perchè la mente sua sará di necessitá piú intenta all’opera della mano.

Dovendosi poi ovviare al caso in cui nello squittinio si rinvenga alcun bollettino non esprimente un voto, o sia ver- gato in guisa da non potersi leggere, si dispone che esso bollettino debba aversi come favorevole all’accusato. Però nel secondo caso vuol essere dichiarato non leggibile da sei giurati almeno, chè questo sarebbe un numero sufficiente a produrre l’assoluzione; e si deve quindi presumere che il giurato, da cui fu deposto quel bollettino nell’arna, inten- desse a meglio coprire il suo voto.

Intorno poi alla questione del numero dei voti, il Ministero deliberò di attenersi alla regola della maggioritá, che, es- sendo i giudicanti in numero pari, viene a comporsi di selte voti contro cinque; questa per veritá essendo la regola co- munemente osservata come fonte di morale certezza: quid iudicum maior pars iudicarit, id ius ratumque esto.

In Inghilterra ed in America si ricerca, è vero, l’unanimitá dei giudici, e si costringono i giurati a rendere la loro di- chiarazione a voti unanimi; per ciò sono rinchiusi nella ca- mera delle loro deliberazioni, e la chiusura è talmente rigo- rosa che non ponno ricevere dal di fuori nè cibo nè be- ‘vanda per confortarsi, nè fuoco per riscaldarsi, finchè vinti, o dalle ragioni, o dalla stanchezza non sieno convenuti in

- una medesima sentenza.

E pertanto quell’unanimitá non è sempre naturale e spon- tanea; essa è talvolta l’effetto diuna morale coazione, per cui una volontá forte, imperiosa, longanime trae nella sua sen-

(1) L’antico articolo 345 del Codice d’istruzione criminale fu abrogato in Francia colla legge 9 settembre 1835 e nel Belgio colla legge 15 maggio 1888.

tenza la piú debole ; tale unanimitá si riduce ad una transa- zione ad una capitolazione fra le coscienze, per cui una parte dei giudici consente al sacrificio della propria opinione ({).

Il sistema della maggiorita appare dunque il piú ragione» vole, il piú conforme alla veritá ed alieno da ogni fipzione.

Però, mentre che si dispone (art. 43) che le decisioni dei giurati, sia contro che in favore dell’accusato, dovranno ema- nare dalla maggioritá di sette voti almeno, tostamente si soggiunge che se î voti saranno ugualmente divisi 0 sul fatto principale, o sulle circostanze aggravanti, 0 sulla questione se l’accusato abbia agito con discernimento, prevarrá l’opi- nione favorevole all’accusato. E cosí le quistioni che non potranno aversi come risolte in favore dell’accusato dalla sola paritá dei voti saranno quelle spettanti alle scuse ed alle circostanze attenuanti.

Nel progetto si prevede ugualmente il caso in cui ia di- chiarazione risulti incompleta, contraddittoria od altrimenti irregolare tantochè riesca impossibile ai giudici del diritto l’applicazione della legge, e relativamente a ciò si ordina che la Corte potrá ordinare all’uopo che i giurati rientrino nella camera delle lore deliberazioni per rettificarla. La quale disposizione si è creduta necessaria per antivenire i dubbi che in pratica potrebbero occorrere ; ma la sorte del- l’accusato è però rassicurata, inquantochè una dichiarazione ad esso favorevole sovra qualche circostanza costitutiva del reato od aggravante non potrebbe piú essere, nè variata, né modificata.

La determinazione del numero dei voti necessari a com- porre la maggioranza del giurí fuori dell’Inghilterra che fu costante nel richiedere l’unanimitá, e degli Stati Uniti che in ciò seguitarono l’antica madre patria, andò soggetta a molte oscillazioni.

La Costituente di Francia colle leggi 16 e 29 settembre 1791 cominciò per richiedere una maggioritá di nove voti; la legge 30 frimaio anno XI la ridusse a sette; il Codice del 3 bramaio anno IV ripigliò il numero primiero ; la legge 19 fruttidoro dell’anno V rese poi l’unanimitá necessaria, ma se i giurati non potevano nel termine di 24 ore mettersi d’ac- cordo, il voto della maggioritá formava la sentenza ; il Codice d’ istruzione criminale prescrisse la semplie& maggioranza di sette voti, ma i giudici del diritto vennero in certo modo associati ai giudici del fatto; la legge 5 marzo 1831 stabili che la maggioritá per la condanna sarebbe di otto voti; la legge 9 settembre 1835 la ridusse ancora a sette ; quest’ultima legge fu abolita coi primi atti della nuova Repubblica, e il decreto del Governo provvisorio dell’8 marzo 1848 ordinò nuovamente che la maggioritá si comporrebbe di nove voti ; l’altro decreto infine del 28 ottobre dell’anno stesso la ri- stabiliva in piú di sette voti.

A fronte di queste oscillazioni, il Ministero non osò peri- tarsi a richiedere una maggioranza superiore ai sette voti, e si attenne a quel sistema che nel corso dei tempi ottenne in Francia maggiore durata, e che nel Belgio dura tuttora, te- mendo che la sicurezza sociale in cui questo repentino pas- saggio dall’antico al nuovo ordine di cose non abbia a patire detrimento. Il legislatore potrá ampliare le condizioni del giurí, e richiedere maggior numero di voti a comporre Ja maggioranza, posciachè esso giurí avrá fatto esperimento di

(1) «Dans le système de l’unanimité on a également a crain- dre la dépravation, l’énergie, la faiblesse, la corruption, la prob$#é, les capitulations de conscience.» (Veggasi il discorso intitolato Quvrages sur le Jury nell’opera intitolata Thémis cu

i Bibliothèque du jurisconsulte, tom. II, pag. 209 e seg.)