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Due altri membri dell’ufficio centrale opinarono invece per l’accettazione de! progetto con emendamenti. Essi ravvisano fondato sopra una evidente ragione di suprema equità il rifiuto dell’altro ramo dei Parlamento a continuare, nella condizione attuale di ricchezza dell’asse ecclesiastico e di sbilancio delle finanze, il sussidio per le spese di culto che in altri tempi e in altre circostanze aveva stabilito sul bilancio dello Stato la munificenza del Re Vittorio Emanuele 1 e Carlo Felice. Vuoisi tener conto della situazione del potere legislativo a fronte dei contribuenti, e specialmente di quella del Senato, e calcolare iti ogni caso l’improbabilità che in definitiva quell’allocazione possa aver luogo. E intanto urgente e indispensabile il provvedere a moltissimi parroci che rimarrebbero privi di congrua e non hanno altro mezzo di sussistenza, e, poiché è forza chiamare le diverse fondazioni esistenti per spese di culto a concorrere in questa spesa di prima necessità, che è il sostentamento dei rettori delle parrocchie, non si può disconoscere la somma convenienza di valersi delia medesima occasione persoddisfare.se fia possibile, ad un giusto e generale desiderio, quello di migliorare alquanto la sorte di quegli operosi ministri delia religione. (Immettere di farlo, massime dopo il molto che si è detto e proposto in tal senso, sarebbe lasciare con minor prudenza un addentellato a discussioni future in una materia delicata, suìia quale importa alla pace pubblica ed al vero interesse della Chiesa e dello Stato che non si debba rinvenire. Certamente il mezzo più desiderabile di provvedere in questa emergenza sarebbe quello di amichevoli accordi col venerando Capo della Chiesa; se non che, prescindendo da superflue osservazioni sul modo con cui furono condotte le trattative, pare evidente allo stato attuale delle cose che incerto e lontano, se non del tutto insperabile, ne sarebbe l’esito, incagliato soprattutto dalie pretese inammessibili dei negoziatori pontifici, le quali mirano alia revoca di leggi da noi sancite per dovere di giustizia suiìe traccie degli altri popoli cattolici, ed all’abbsndono per parte nostra di usi e massime tutelari e antichissime che abbiamo pure comuni coi principali Governi della cristianità. Pare adunque venuto il caso di sancire entro i limiti delia necessità quelle misure cui in tempi ordinari non saoie procedere da sé solo il potere civile, ma alle quali ha il diritto di addivenire usando dell’ampiezza naturale della sua competenza, come ne usarono in varie epoche con minore necessità alcuni antichi Governi tuit’aìtro che ostili alla Chiesa. Il progetto di chiamare a contributo pei sostentamento dei parroci le rendite dei diversi stabilimenti ecclesiastici dello Sfato non eccede questa competenza e non è contrario alia giustizia nè ai principi! costituzionali. Tutte le istituzioni ecclesiastiche hanno la loro ragione di esistere nell’interesse del culto. Tutte, oltre allo scopo speciale di ciascuna, hanno in genere quello di promuovere la religione. Le rendite che sovrabbondano ali’adempimento dei loro fine individuale possono ragionevolmente essere chiamate a procurare in altro modo il fine comune. È appoggiato sostanzialmente a questa base di ragione l’uso tuttora vigente nella Chiesa d’imporre pensioni a favore dei ministri del culto meno retribuiti, od anche di stabilimenti meno agiati, sopra i pingui benefizi ed altri istituti ricchi. Il riparto attuale del contributo dovrebbe, a senso dei suddetti due commissari, considerarsi come essenzialmente provvisorio, poiché dovrebbe essere modificalo e migliorato allorché di concerto colia Santa Sede venisse ridotto ii numero dei vescovadi e dato un miglior assestamento al complesso delle cose ecclesiastiche. Gii stessi commissari considerano come amusessibile, neilo stato attuale delle cose, l’idea di ritogliere la personalità civile alle case d’ordini religiosi che non attendono alia predicazione, nè alla cura degli infermi, nè aìl’educazione ed istruzione della gioventù. Senza ammettere tutti gli appunti che si fanno a tali corporazioni meramente contemplative, non si può disconvenire che in generale esse non abbiano più l’utilità nè la facilità di rifornirsi di buoni soggetti che aveano in altri tempi, ed è almeno fuor di dubbio che l’utilità di simili istituti non possa paragonarsi a quella dei parroci. Pare altresì indubitabile, in massima, la convenienza di ridurre il numero delie manimorte e di non lasciare perpetuarsi quelle che non presentino vantaggi positivi ed importanti. Per altra parte, a procurare un trattamento conveniente ai parroci, non può bastare iì solo contributo sulle rendite ecclesiastiche, a meno di renderne del tutto eccessivo il peso, e, prima di gravare cotanto il clero operante e gli stabilimenti necessari od utilissimi, pare pur giusto ed equo studiare ogni possibile riduzione degli stabilimenti meno utili. Ed in questo apprezzamento della minore utilità degli ordini contemplativi, a confronto dei parroci, non sembra potersi dire che la potestà civile proferisca un giudizio capriccioso ed arbitrario, giacché parrebbero stare dal suo canto l’evidenza e ii fatto stesso della Chiesa che in regni intieri prescinde dalla esistenza legale di tali corporazioni. Nemmeno pensano quei commissari che a giustificare l’abolizione della personalità civile di case religiose o di altri stabilimenti ecclesiastici sia necessaria una riprensibile tendenza dell’ente morale od una colpevole condotta delle persone cbe appartengono alla corporazione o rappresentano Io stabilimento. Essi credono che la personalità civile degli enti morali, anche ecclesiastici, essendo una concessione de! potere temporale, questo può modificarla o ritoglierla ogniqualvolta ravvisi cessate le ragioni di pubblica utilità che lo aveano determinato a concederla, ovvero altre considerazioni d’interesse sociale gii impongano di così provvedere. Bensì sono dovuti giusti riguardi aiie persone che sotto l’egida delle leggi hanno acquistato una posizione, negli stabilimenti che si vogliono sopprimere, e potendo con ragione confidare di terminarvi la loro vita hanno perciò rinunciato ad ogni altro mezzo di esistenza. La società civile offenderebbe l’equità e l’umanità se, annientando l’ente fittizio cui spettavano le entrate onde sussistevano queste persone, non provvedesse convenientemente al loro sostentamento; trattandosi poi di religiosi, i commissari suddetti troverebbero pur equo e conveniente che la legge non li cacciasse dal pacifico asilo dei chiostri, ma la progettata cassa ecclesiastica cui sarebbero applicati i beni deii’ente morale soppresso corrispondesse ai membri della comunità riuniti ognora nella vita claustrale una somma uguale alla rendita netta dei beni stessi entro un limite non eccedente l’entità delia pensione ordinaria dovuta, secondo il progetto, ai membri sparsi delie comunità disciolte. In questo modo le posizioni sarebbero meglio rispettate non solo dal lato materiale, ma ancora dal lato morale, e si agevolerebbe l’adempimento dei voti emessi senza recare un maggiore aggravio aiia cassa ecclesiastica. Si alievierebbe anzi il suo carico, poiché molte comunità noa hanno rendite corrispondenti aiia somma delle pensioni che in caso di sperperamelo sarebbero dovute ai loro membri, sebbene questi vivendo vita comune e claustrale possano discretamente sussistere. Altronde gli aumenti di pensione che il progetto concede all’età ed al sesso sarebbero risparmiati, e ciò potrebbe aver luogo senza ingiustizia nè danno dei refi-