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Non ignoriamo esservi alcuni a cui ripugna l’idea di un accordo colla podestà superiore della Chiesa sopra materie che interessino il temporale delio Stato, quasi sì trattasse di una abdicazione di parte della sovranità civile. Ma noi che ci riputiamo teneri quant’altri mai della dignità delia Corona e schietti propugnatori dell’indipendenza de’ suoi diritti, noi ricusiamo d’ino’trarci in una confusione d’idee che nuoce all’interesse pubblico e guasta il carattere dei rapporti Ira le due podestà. Se la Chiesa è suprema nel genere suo ma è coordinata allo Stato, conviene che i due poteri coordinino i loro mezzi onde giovarsi scambievolmente. Quindi la sovranità civile non deroga al suo potere venendo ad accordi colla suprema autorità ecclesiastica che tocchino all’interesse spirituale e temporale degli Stati. L’esempio di quanto si operò da tre secoli dai più potenti sovrani d’Europa ci rafferma in questa opinione; accordi tra Stato e Chiesa nelie materie miste seguirono negli Stati cattolici, ed anche iu quelli dove il sovrano e gran parte dei sudditi non sono cattolici. E la storia c’insegna che le vertenze tra le due podestà mai non s’acquetarono definitivamente ed a mutuo vantaggio se non col mezzo dei concordati. Il ministro proponente l’attuale progetto sul termine della sua relazione invita il Senato a rendere omaggio ai principii del nostro diritto pubblico ed alle antiche tradizioni della monarchia. Egli è appunto per uniformarci a quei principii ed a quelle tradizioni che noi ci appiglieremmo alla via delle trattative e degli accordi ; che difendendo risolutamente eiòche sappiamo essere diritto del principato, rispetteremmo ugualmente ciò che sappiamo essere ragione della Chiesa. La sapienza degli antichi magistrati del regno, di cui s’invoca l’autorità, si dimostrò appunto nell’avere costatiteli» nte sostenute a fronte della Corte di Roma le vere ragioni del principato stando sempre sui terreno delia legalità, e non mai deviando negli spedienti irregolari, seppure non piacesse meglio chiamarli rivoluzionari. Così mentre si ventilavano le quistioni giurisdizionali non ne veniva meno il rispetto alla religione, e la solidità degli accordi finali impediva la riproduzione degli abusi. Finalmente noi aggiungeremo l’autorità di un illustre scrittore e statista, del quale compiangiamo la perdita, cui niuno potrà apporre la taccia di troppo facile ad abbandonare gl’interessi della sovranità temporale, e citeremo un passo del libro Éludes administratives, par M. Vivien; 2. édition, tona, 2, pag. 271-272. a Sans doute le spirituel et le temporel doivent demeurer séparés; nul ne le conteste aujourd’hui; c’est le principe du droit moderne; le gage de la liberté de l’Eglise et de l’indépendance de l’Etat; le terme des luttes entre le sacerdoce et l’empire; mais ii est une foule d’objets mixtes où les deux pouvoirs se trouvent mêlés, et i) appartient au pouvoir politique de juger quelles questions appartiennent à son domaine et de les résoudre. Cependant, nous le reconnaissons, appeler l’Etat et l’Eglise à en délibérer en commun, à se concerter, à s’entendre est le moyen le plus propre à conserver la bonne harmonie; c’est celui qui doit rechercher d’abord un Gouvernement prudent; c’est la voie que le Comité des cultes de l’Assemblée constituante en 1848 a proposé de suivre lorsqu’il a été d’avis d’entatuer des négociations avec le Saint-Siège sur des questions que le pouvoir politique aurait à la rigueur le droit de trancher; conseil prudent et qui mérite qu’on le suive. Aucun pouvoir sage n'use de son droit à l'extrême. L’Eglise, aussi bien que l’Etat, ferait un mauvais emploi du sien si elle l’exerçait à outrance. Cette réserve est dans l’esprit de nos institutions mômes qui consacrent des droits souvent contradictoires dans leur application absolue, et rendent ainsi la modération nécessaire, et les transactions inévitables. Ce qui est vrai pour les rapports des pouvoirs politiques entre eux ne l’est pas moins pour les rapports du pouvoir civil et du pouvoir religieux. Les Concordats sont.l’instrument de cette conciliation, etc. » Facendoci ora più dappresso al progetto di legge sottoposto alle deliberazioni del Senato, sopra tre punti capitali noi dissentiamo da esso, e conseguentemente esporremo i motivi che principalmente c’inducono a respingere il progetto suddetto. La soppressione delle comuaità e degli stabilimenti di qualunque genere degli ordini monastici e delle corporazioui regolari e secolari esistenti nello Stato, quale si contiene nell’articolo primo dei progetto, non ci pare appoggiata nè in diritto nè in fatto. Premettiamo che l’esistenza di queste comunità e stabilimenti era ed è legalmente ammessa dalle vigenti leggi (articolo 28 del Codice civile), e loro si concede pure il diritto di proprietà e di possesso dei beni così mobili che immobili (articoli 433, 436 e 2362 dello stesso Codice). Lo Statuto all’articolo 29 dichiara che tutte le proprietà, senza alcuna eccezione, sono inviolabili. La clausola, senza alcuna eccezione, è evidentemente apposta per escludere anticipatamente ogni dubbio che si fosse potuto elevare così sopra la varia qualità dei beni, come sopra la varia qualità di coloro che !i posseggono. Determinata questa posizione di diritto, esporremo la nostra opinione cbe per quanto si voglia allargare il diritto del Governo di far cessare la personalità civile da esso conceduta ai corpi moraii esistenti su! territorio dello Stato, non si potrà mai, a nostro avviso, estendere l’esercizio di tale diritto al punto di renderlo arbitrario a! Governo stesso, senzachè v’intcrvenga una causa imputabile all’indole propria del corpo morale che si vuol sopprimere, od agli atti degli individui che lo costituiscono in effetto. Sarebbe infatti ingiustificabile, per non dire assurdo, che quando il Governo ha dato facoltà ad un corpo morale di costituirsi sul suo territorio ed ha implicitamente riconosciuto ed ammesso l’esistenza indeterminata del medesimo, venisse a toglierla per semplice atto di propria volontà, e mentre il corpo morale si mantiene innocuo allo Stato e non eccede i limiti d’azione che riteneva quando fu ammesso e riconosciuto. E qui vuoisi ritenere che i corpi morali per il fatto della loro ammessione sui territorio dello Stato non s’identificano coi Governo, e non si considerano quali creazioni del Governo stesso, che egli possa a suo talento conservare o far scomparire senza una ragione intrinseca d’incompatibilità di esistenza di detto corpo morale col bene e cogl’interessi dello Stato. Quando coleste ragioni intrinseche esistessero, e fossero evidentemente provate tali che giustificassero la deliberazione del Governo di eliminare il corpo morale, rimarrebbe a vedere se sia ii caso di applicare ai beni da taie corpo morale posseduti la regola delle successioni vacanti. Questa regola, secondo il nostro gius pubblico interno, si applica nei casi di soppressione in genere di un corpo morale, ordinata dall’autorità che l’aveva creato. Cosi il Senato di Piemonte nella rappresentanza rassegnata