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x - dialogo sopra la nobiltà 31


può l’uomo star vicino all’altr’uomo, quando egli nol punga, non l’assordi, non gli mandi trist’odore alle narici e finalmente non gli rechi verun disagio alla persona?

Nobile. Sì, certo ch’egli ’l può, ma quando l’altro sia suo pari.

Poeta. E quand’egli nol sia?

Nobile. Colui ch’è inferiore è tenuto d’usar rispetto all’altro che gli è superiore; e il non osare accostarsi è segno di rispetto, laddove il contrario è indizio di troppa famigliaritá, come dianzi ti accennai.

Poeta. Voi non potreste pensar di meglio. Ma ditemi, se il cielo vi faccia salvo: chi di noi due giudicate voi che sia tenuto a rispettar l’altro?

Nobile. Nol vedi tu da te medesimo, balordo? Tu déi rispettar me.

Poeta. Voi volete dire adunque che voi siete mio superiore.

Nobile. Sì, certo.

Poeta. E per qual ragione il siete voi? Sareste voi per avventura il re?

Nobile. Sogni tu o impazzi? Or non mi conosci tu adesso, o non mi conoscevi pochi di fa, quando noi eravamo tra’ vivi? Che vai tu ora dunque farneticando ch’io mi sia il re?

Poeta. Se voi non siete il re, non può fare che voi non siate almanco un suo ministro, deputato al governo del popolo e all’amministrazione della giustizia.

Nobile. No, dicoti ch’io non ebbi mai bisogno d’occuparmi in sì fatte cose a’ miei dì.

Poeta. Egli è adunque forza che voi siate uno de’ suoi sergenti o bargelli per esso lui destinati a rappresentare la sua autoritá e ad eseguire le sue intenzioni.

Nobile. Tu m’hai ben viso da bargello, tu, anzi da boia, manigoldo, che ti pigli tanta sicurtá meco.

Poeta. Voi sarete adunque qualche Morgante o qualche Briareo, dotato dalla natura d’una straordinaria robustezza delle membra.