Pagina:Parini, Giuseppe – Poesie, Vol. I, 1929 – BEIC 1889888.djvu/78

72 alcune poesie di ripano eupilino


     Ben diece volte ha rinnovato il corno
Cinzia dal cominciar de’ miei lamenti;
eppur mai sempre a querelarmi io torno;
     o se co’ remi faticosi e lenti
guidando vo la piccioletta barca,
o se distendo la mia rete ai venti;
     e non è ninfa cosí al pianger parca
che, nell’udirmi sospirar, non abbia
di lagrime la guancia umida e carca.
     Talor mi getto in sulla nuda sabbia,
e vo la nuda terra e i duri sassi
per lo dolor mordendo e per la rabbia.
     Né vai che un qualche pescator che passi
pietoso mi sollevi e dia conforto,
perché accrescendo il mio dolor piú vassi,
     L’altrier, pensando al mal che in seno io porto,
ahi disperato! fui per affogarmi,
s’un mio compagno non si fosse accorto,
     che, veggendomi al Tonde avvicinarmi
in viso smorto e nel guardar travolto,
non so dove lontan venne a menarmi.
     E di certo, o crudel, non andrá molto
che in fondo all’acqua estinto mi vedrai,
comunque io siami o disperato o stolto.
     E forse allor qualche pietate avrai
del mio misero caso, alfin bagnando
di qualche lagrimetta i tuoi be’ rai.
     Ma v’è nel Nilo un fier dragon che, quando
ha divorato l’uomo, al fin sen giace
sopra Tossa spolpate lagrimando.
     Né piange, no, la belva aspra e rapace
per pietá; ma perché piú non ritrova
ond’empiere la bocca aspra e vorace.
     Tal, s’avverrá che a te dagli occhi piova
stilla di pianto sul mio caso amaro,
ciò non fia per pietá che ’l cor ti mova;