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capitoli 57


     Ma sta’! dove vo io con queste ciarle?
Son’elle cose da dirle al Ceccone
60che saprá ben da sé stesso cercarle?
     Eh via! ché gli è propio un dottorone
in questo mestieraccio cosí fatto,
e la sa tutte meglio che un Nasone.
     E io son pur si scimunito e matto?
65Gli è come portar cavolo a Legnaia
a insegnare a ser Cecco in questo fatto.
     Desso è una fonte, desso è una ceppaia
di be’ trovati, e voler dirne a lui
gli è giusto come metter stoppia in aia.
     70Ma queste cose le non fan per nui:
lasciatile andar, e discorriamo adesso
d’altri affari che fanno per noi dui.
     Deh! fatt’in qua, deh! fatt’un po’piú presso,
e senti due parole nell’orecchio
75intorno a quel passato tuo successo.
     Quel messer lo calonaco, quel vecchio
il qual vuol farti una pedina, il quale
vuol fartela vedere in uno specchio;
     quello sguaiato tristo facimale,
80quel disgraziato, quel sciaguratello
che gli venga un gavocciolo, un cassale,
     s’è tolto quel pensiere del cervello?
oppur v’è ancora dentro incaponito?
Chiamalo in giostra, chiamalo in duello.
     85E s’egli accetta cosí fatto invito
statti lieto, Ceccon, ché ’l tuo gran guaio
in una mezz’oretta gli è fornito.
     Io getto anch’io ’n un canto questo saio,
e armato tutto come un paladino
90tra te e me ne farem giusto un paio.
     E li colpi da Orlando e da Zerbino
gli menerem sul capo e sulle braccia,
fin che disteso l’abbiamo supino.