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38 alcune poesie di ripano eupilino


LXI

     Nencia, ti mando questo mio sonetto,
per narrarti uno strano pensieraccio
che m’è venuto d’impiccarmi a un laccio,
per amor dell’amore maladetto.
    Io te lo dico*spiattellato e schietto:
se non mi togli fuor di quest’impaccio,
dentro un calappio la mia testa caccio,
e ti fo quel bel giuoco netto netto.
     Gnaffe tei dico, ve’, Nencia, e tu ’l sai:
mentre son vivo, non vuoi farmi lieto,
e dopo morto tu mi cercherai.
     Ma s’io tiro a la fin l’ultimo peto,
non varratti il picchiare, oppur potrai
picchiarmi allora all’usciolin di dreto.

LXII

     Nencia, te l’ho pur detto cento volte;
noi vo’ veder quel gaveggin di Beco:
gnen’ho pur date delle busse molte,
eppur voi far del cascamorto teco.
    Che si, che s’io mi stizzo un giorno seco,
alle guagnel che gli fo dar le volte
con quel buon bacchio che di notte reco:
e di’ che gli sien poi dal papa tolte.
     Sai pur che, s’io mi ficco un capricciaccio,
non mi va fuora della testa piue:
l’ha’tu ben visto il di di Berlingaccio,
     quand’io fei tanto piato con quel bue
in casa tuo cugino Menicaccio.
Di’, allor chi corse meglio di noi due?