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242 il giorno


e al sospettoso adultero, che lento
col cappel su le ciglia, e tutto avvolto
entro al manto, sen giá con l’armi ascose,
colpieno il core e lo strignean d’affanno.
E fama è ancor che pallide fantasime
lungo le mura de i deserti tetti
spargean lungo, acutissimo lamento,
cui di lontano per lo vasto buio
i cani rispondevano ululando.
     Tal fusti, o Notte, allor che gl’inclit’avi,
onde pur sempre il mio garzon si vanta,
eran duri ed alpestri; e con l’occaso
cadean dopo lor cene al sonno in preda;
fin che l’aurora sbadigliante ancora
li richiamasse a vigilar su l’opre
de i per novo cammin guidati rivi
e su i campi nascenti; onde poi grandi
furo i nipoti e le cittadi e i regni.
     Ma ecco Amore, ecco la madre Venere,
ecco del gioco, ecco del fasto i geni,
che trionfanti per la notte scorrono,
per la notte che sacra è al mio signore.
Tutto davanti a lor tutto s’irradia
di nova luce. Le mimiche tenebre
fuggono riversate; e l’ali spandono
sopra i covili, ove le fere e gli uomini
da la fatica condannati dormono.
Stupefatta la Notte intorno vedesi
riverberar piú che dinanzi al sole
auree cornici, e di cristalli e spegli
pareti adorne, e vesti varie, e bianchi
omeri e braccia, e jiupi 1 lette mobili,
e tabacchiere preziose, e fulgide
fibbie ed anella, e mille cose e mille.
Cosí l’eterno caos, alior che Amore
sopra posovvi e il fomentò con l’ale,