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poesie serie | 17 |
XXIV
Lungo ’l Sagrin, mentre i pastor le gote
gonfiando van su le ineguali canne,
amico, i’ so ch’assai piú dolce andranne
lor suon congiunto a le tue dolci note.
E intanto che ’l commosso aere percote
l’opposte rupi, da le sue capanne
ogni ninfa silvestre a udir verranne
tuo canto, che le fère addolcir puote.
O te felice, al quale il destro fato
tant’ozio dona, e a rustical concento
dentro al paterno suol vivi beato!
Ahi! me non giá, infin ch’a forza intento
a sé mi tenga il dubitoso piato
che nel fòro usar suol garrulo e lento.
XXV
Da questo cerchio, che sul lito io segno
colla verga tremenda, e in cui ti metto,
non partirti, o Damone, e denti in petto
le sillabe possenti ch’io t’insegno.
Ecco son giá presenti, a un picciol segno
della mia man, Tesifone ed Aletto,
e d’Ecate triforme il vario aspetto,
e gli altri numi de lo stigio regno.
Ecco io gl’invoco: — O degli oscuri e bui
fiumi d’Averno abitatrice schiera,
Damone ascolta, o me in vece di lui.
Fa, per la forza della mia preghiera,
che la donna, ch’un tempo amò costui,
a poco a poco si distrugga e péra.