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219 il giorno


l’aere profano, e fuor caccia de’ cibi
1030le volanti reliquie. Egri mortali,
che la miseria e la fidanza un giorno
sul meriggio guidcáro a queste porte,
tumultuosa, ignuda, atroce folla
di tronche membra e di squallide facce
1035e di bare e di grucce, or via da lunge
vi confortate; e per le alzate nari
del divin prandio il nettare beete
che favorevol aura a voi conduce:
ma non osate i limitari illustri
1040assediar, fastidioso offrendo
spettacolo di mali a i nostri eroi.
     E a te, nobil garzon, la tazza intanto
apprestar converrá, che i lenti sorsi
ministri poi de la tua bella a i labbri:
1045e memore avvertir s’ella piú goda,
o sobria o liberal, temprar col dolce
la bollente bevanda: o se piú forse
l’ami cosí, come sorbir la gode
barbara sposa, allor che, molle assisa
1050ne’ broccati di Persia, al suo signore
con le dita pieghevoli il selvoso
mento vezzeggia; e, la svelata fronte
alzando, il guarda; e quelli sguardi han possa
di far che a poco a poco di man cada
1033al suo signore la fumante canna.
     Mentre i labbri e la man v’occupa e scalda
l’odoroso licor, sublimi cose
macchinerá tua infaticabil mente.
Quale oggi coppia di corsier de’ il carro
1060condur de la tua bella; o l’alte moli
che per le fredde piagge educa il cimbro;
o quei che abbeverò la Orava; o quelli
che a le vigili guardie un di fuggirò
da la stirpe campana: oggi qual meglio