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215 il giorno


885d’Èrcole invitto. Ora i selvaggi amici
Urania ingentili. Baldi e leggiadri
nel gran mondo li guida, o tra il clamore
de’ frequenti convivi, o pur tra i vezzi
de’ gabinetti, ove a la docil dama
890e al caro cavalier mostran qual via
Venere tenga; e in quante forme o quali
suo volto lucidissimo si cangi.
     Né del poeta temerai, che beffi
con satira indiscreta i detti tuoi;
895o che a maligne risa esponer osi
tuo talento immortale. All’alta mensa
voi lo innalzaste; e tra la vostra luce
beato l’avvolgeste; e de le Muse
a dispetto e d’Apollo, al sacro coro
900l’ascriveste de’ vati. Ei de la mensa
fece il suo Pindo: e guai a lui, se quindi
le dee sdegnate giú precipitando
con le forchette il cacciano! Meschino!
Piú non porla su le dolenti membra
905del suo infermo signor chiedere aita
da la buona Salute; o con alate
odi ringraziar, né tesser inni
al barbato figliuoli di Febo intonso.
Piú del giorno natale i chiari albori
910salutar non potrebbe; e l’auree frecce
nomi-sempiternanti all’arco imporre,
non piú gli urti festevoli, o sul naso
l’elegante scoccar d’illustri dita
fóra dato sperare. A lui tu dunque
915non disdegna, o signor, volger talora
tu’ amabil voce; a lui tu canta i versi
del delicato cortigian d’Augusto,
o di quel che tra Venere e Lieo
pinse Trimalcion: la Moda impone,
920Ch’Arbitro o Fiacco a i begli spirti ingombri