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ii - il meriggio 215


del parlar t’è giá nota, allor tu studia
850materia espor che, favellando, ammetta
la nova gemma; e poi che il punto hai còlto,
ratto la scopri; e sfolgorando abbaglia
qual altra è mente che superba andasse
di squisita eloquenza a i gran convivi.
855In siinil guisa il favoloso mago
che fe’ gran tempo desiar ramante
all’animosa vergili di Dordona,
da i cavalier che l’assalien bizzarri
oprar lasciava ogni lor possa ed arte;
860poi ecco, in mezzo a la terribil pugna,
strappava il velo a lo incantato scudo;
e quei, sorpresi dal bagliore immenso,
ciechi spingeva e soggiogati a terra.
     Talor di Zoroastro o d’Archimede
865discepol sederá teco a la mensa.
Tu a lui ti volgi, seco lui ragiona,
suo linguaggio ne apprendi; e quello poi,
qual se innato a te fosse, alto ripeti.
Né paventar quel che l’antica fama
870narra de’ lor compagni. Oggi la diva
Urania il crin compose; e gl’irti alunni
smarriti, vergognosi, balbettanti
trasse da le lor cave, ove giá tempo
col profondo silenzio e con la notte
875tenean consiglio: e le servili braccia
fornien di leve onnipotenti, ond’alto
salisser poi piramidi, obelischi
ad eternar de’ popoli superbi
i gravi casi: o pur con feri dicchi
880stavan contra i gran letti: o di pignone
audace armati spaventosamente
cozzavan con la piena, e giú a traverso
spezzate, rovesciate dissipavano
le tetre corna: decima fatica