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201 il giorno


di richiamar de le matrone al volto
quella rosa natia che caro fregio
fu dell’avole nostre, ed or ne’ campi
cresce solinga, e tra i selvaggi scherzi
385a le rozze villane il viso adorna.
     Forse a la bella di sua man le dapi
piacerá ministrar, che novi al senso
gusti otterran da lei. Tu dunque il ferro
che forbito ti giace al destro lato,
390quasi spada sollecito snudando,
fa che in alto lampeggi; e chino a lei
magnanimo lo cedi. Or si vedranno
de la candida mano all’opra intenta
i muscoli giocar soavi e molli:
395e le grazie, piegandosi con essa,
vestirai! nuove forme, or da le dita
fuggevoli scorrendo, ora su l’alto
de’ bei nodi insensibili aleggiando
ed or de le pozzette in sen cadendo
400che de’ nodi al confin v’impresse Amore.
Mille baci di freno impazienti
ecco sorgon dal labbro a i convitali;
giá s’arrischian, giá volano, giá un guardo
sfugge da gli occhi tuoi, che i vanni audaci
405fulmina ed arde, e tue ragion difende.
Sol de la fida sposa a cui se’ caro
il tranquillo marito immoto siede:
e nulla impression l’agita o move
di brama o di timor; però che Imene
410da capo a piè fatollo. Imene or porta
non più serti di rose al crine avvolti,
ma stupido papavero grondante
di crassa onda letèa, che solo insegna
pur dianzi era del Sonno. Ahi quante volte
415la dama delicata invoca il Sonno
che al talamo presieda, e seco in vece