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ii - il meriggio 199


spiacque a’ celesti: e a variar lor sorte
il Piacer fu spedito. Ecco il bel genio,
275qual giá d’ilio su i campi Iride o Giuno,
a la terra s’appressa: e questa ride
di riso ancor non conosciuto. Ei move,
e l’aura estiva del cadente rivo,
e dei clivi odorosi a lui blandisce
280le vaghe membra, e lenemente sdrucciola
sul tondeggiar de’ muscoli gentile.
A lui giran dintorno i Vezzi e i Giochi,
e come ambrosia le lusinghe scorrono
da le fraghe del labbro; e da le luci
285socchiuse, languidette, umide fuora
di tremulo fulgore escon scintille
ond’arde l’aere che scendendo ei varca.
Al fin sul dorso tuo sentisti, o Terra,
sua prima orma stamparsi: e tosto un lento
290fremere soavissimo si sparse
di cosa in cosa; e ognor crescendo, tutte
di natura le viscere commosse:
come nell’arsa state il tuono s’ode
che di lontano mormorando viene,
295e col profondo suon di monte in monte
sorge; e la valle e la foresta intorno
mugon di smisurato alto rimbombo.
     Oh beati fra gli altri e cari al cielo
viventi a cui con miglior man Titano
300formò gli organi egregi, e meglio tese,
e di fluido agilissimo inondolli!
Voi l’ignoto solletico sentiste
del celeste motore. In voi ben tosto
la voglia s’infiammò, nacque il desio:
305voi primieri scopriste il buono, il meglio:
voi con foga dolcissima correste
a possederli. Allor quel de i duo sessi,
che necessario in prima era soltanto,