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ii - il meriggio 197


piú temuti gli sdegni. Oltre Pirene
contenda or pur le desiate porte
a i gravi amanti; e di femminee risse
turbi Oriente: Italia oggi si ride
205di quello ond’era giá derisa; tanto
puote una sola etá volger le menti.
     Ma giá rimbomba d’una in altra sala
signore, il nome tuo. Di giá l’udiro
l’ime officine ove al volubil tatto
210de gl’ingenui palati arduo s’appresta
solletico che molle i nervi scota,
e varia seco voluttá conduca
fino al centro dell’alma. In bianche spoglie
affrettansi a compir la nobil opra
215gravi ministri: e lor sue leggi detta
una gran mente del paese uscita
ove Colberto e Risceliu fur chiari.
Forse con tanta maestade in fronte,
presso a le navi ond’Uio arse e cadeo
220a gli ospiti famosi il grande Achille
disegnava la cena: e seco in tanto
le vivande cocean su i lenti fochi
Pátroclo fido e il guidator di carri
Automedonte. O tu, sagace mastro
225di lusinghe al palato, udrai fra poco
sonar le lodi tue dall’alta mensa.
Chi fia che ardisca di trovar mai fallo
nel tuo lavoro? Il tuo signor fia tosto
campion de le tue glorie; e male a quanti
230cercator di conviti oseran motto
pronunciar contro a te; chè sul cocente
meriggio andran peregrinando poi
miseri e stanchi; e non avran cui piaccia
piú popolar de le lor bocche i pranzi.
     235Imbandita è la mensa. In piè d’un salto
alzati, e porgi, almo garzon, la mano