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12 | alcune poesie di ripano eupilino |
XIV
Fra gl’impeti d’Amore e di Fortuna,
or da quella balzato or da quest’onda,
non ch’io mai giunga ad afferrar la sponda,
pur non veggio un chiaror di speme alcuna.
Ma irato maggiormente il ciel s’imbruna
e la tempesta sovra me piú inonda;
sicch’io non trovo parte ove m’asconda
dal gran furor che intorno a me s’aduna.
S’i’ n’esco mai, di Libertate al tempio
le rotte spoglie vo’ sacrare, e voglio
ch’elle ad ogni mortai servan d’esempio:
e s’alcuno fia poi tanto orgoglioso
che si fidi ad un mar si crudo ed empio,
deh sommergasi, o rompa in uno scoglio.
XV
Ecco Bromio, pastori, ecco Lieo
col tirso in mano e co’ fanciulli accanto:
udite il suon medesmo, udite il canto
col qual giá in Tebe il grande ingresso ei feo.
Ecco Sileno che di vin s’empieo
l’irsuta barba e ’l setoloso manto,
e percotendo va di tanto in tanto
l’asin che sol di sua vecchiezza è reo.
Tirsi, quel bel monton che t’addit’io,
presso a quell’elce, con un colpo atterra,
indi sacralo allegro al grasso dio;
e tu, Damon, che se’ robusto, afferra
Sileno e l’asinel, se non, per dio,
ne va ’l cavallo e ’l cavaliere a terra.