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i - il mattino 159


60prima non solva, che giá grande il giorno
fra gli spiragli penetrar contenda
de le dorate imposte, e la parete
pingano a stento in alcun lato i rai
del sol ch’eccelso a te pende sul capo.
65Or qui principio le leggiadre cure
denno aver del tuo giorno; e quindi io deggio
sciorre il mio legno, e co’ precetti miei
te ad alte imprese ammaestrar cantando.
     Giá i valetti gentili udir lo squillo
70de’ penduli metalli, a cui da lunge
moto improvviso la tua destra impresse;
e corser pronti a spalancar gli opposti
schermi a la luce, e rigidi osserváro,
che con tua pena non osasse Febo
75entrar diretto a saettarte i lumi.
Ergi dunque il bel fianco, e si ti appoggia
alli origlier che lenti degradando
all’omero ti fan molle sostegno;
e coll’indice destro lieve lieve
80sovra gli occhi trascorri, e ne dilegua
quel che riman de la cimmeria nebbia;
poi de’ labbri formando un picciol arco,
dolce a vedersi, tacito sbadiglia.
Ahi se te in si vezzoso atto mirasse
85il duro capitan, quando tra l’arme
sgangherando la bocca un grido innalza
lacerator di ben costrutti orecchi,
s’ei te mirasse allor, certo vergogna
avria di sé, piú che Minerva il giorno
90che, di flauto sonando, al fonte scorse
il turpe aspetto de le guance enfiate.
     Ma il damigel ben pettinato i crini
ecco s’innoltra, e con sommessi accenti
chiede qual piú de le bevande usate
95sorbir tu goda in preziosa tazza.