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158 il giorno


signor, questo non è. Tu col cadente
25sol non sedesti a parca cena, e al lume
dell’incerto crepuscolo non gisti
ieri a posar, qual nei tuguri suoi
entro a rigide coltri il vulgo vile.
A voi, celeste prole, a voi, concilio
30almo di semidei, altro concesse
Giove benigno: e con altr’arti e leggi
per novo calle a me guidarvi è d’uopo.
     Tu tra le veglie e le canore scene
e il patetico gioco oltre piú assai
35producesti la notte; e stanco alfine,
in aureo cocchio, col fragor di calde
precipitose rote e il calpestio
di volanti corsier, lunge agitasti
il queto aere notturno, e le tenèbre
40con fiaccole superbe intorno apristi,
siccome allor che il siculo terreno,
da l’uno a l’altro mar rimbombar féo
Pluto col carro a cui splendeano innanzi
le tede de le Furie anguicrinite.
     45Tal ritornasti a i gran palagi, e quivi
cari conforti a te porgea la mensa
cui ricoprien pruriginosi cibi
e licor lieti di francesi colli
e d’ispani e di toschi, o l’ungarese
50bottiglia a cui di verdi ellere Bromio
concedette corona e disse: — Or siedi
de le mense regina. — Al fine il Sonno
ti sprimacciò di propria man le coltrici
molle cedenti, ove te accolto il fido
55servo calò le ombrifere cortine;
e a te soavemente i lumi chiuse
il gallo che li suole aprire altrui.
     Dritto è però che a te gli stanchi sensi
dai tenaci papaveri Morfèo