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ii - il mezzogiorno 149


sa, per le luci penetrato all’alma,
gir serpendo nei cori; e con fallace
lusinghevole stil corromper tenta
il generoso de le stirpi orgoglio
1000che ti scevra dal vulgo. Udrai da quelli,
che ciascun de’ mortali all’altro è pari;
che caro a la natura e caro al cielo
è non meno di te colui che regge
i tuoi destrieri e quei ch’ara i tuoi campi;
1005e che la tua pietade e il tuo rispetto
dovrien fino a costor scender vilmente.
Folli sogni d’infermo! Intatti lascia
cosí strani consigli; e sol ne apprendi
quel che la dolce voluttá rinfranca,
io io quel che scioglie i desiri, e quel che nutre
la libertá magnanima. Tu questo
reca solo a la mensa: e sol da questo
cerca plausi ed onor. Cosí dell’api
l’industrioso popolo, ronzando,
1015gira di fiore in fior, di prato in prato;
e i dissimili sughi raccogliendo,
tesoreggia nell’arnie: un giorno poi
ne van colme le pátere dorate
sopra l’ara de’numi; e d’ogn’intorno
1020ribocca la fragrante alma dolcezza.
     Or versa pur dall’odorato grembo
i tuoi doni, o Pomona; e l’ampie colma
tazze, che d’oro e di color diversi
fregiò il sassone industre; il fine è giunto
1025de la mensa divina. E tu dai greggi,
rustica Pale, coronata vieni
di melissa olezzante e di ginebro;
e co’ lavori tuoi di presso latte
vergognando t’accosta a chi ti chiede;
1030ma deporli non osa. In su la mensa
potrien, deposti, le celesti nari